LIBERI

Commedia agrodolce. Liberi è incentrato fondamentalmente sulla storia di un’iniziazione alla vita per due ragazzi di vent’anni che devono liberarsi delle proprie paure infantili e dei legami edipici. Ma Tavarelli, che si basa su un soggetto Premio Solinas di Angelo Carbone, arricchisce il dramma intimistico, già magnificamente affrontato nel precedente Un amore del 1999, ed estende il racconto all’indagine sociale trattando il trauma di Cenzo, operaio licenziato alla veneranda età di cinquant’anni. È un uomo debole e cade presto in depressione: non riesce a liberarsi del passato e affrontare la nuova realtà. La moglie al contrario, donna forte e vitale, cerca di reagire con ogni mezzo per ribellarsi a una situazione di inedia, e quando vede che il marito non riesce a scrollarsi di dosso la propria oziosa disperazione, sguazzandoci anzi con l’autocompiacimento tipico dei depressi, non esita a lasciarlo e rifarsi una vita con un altro uomo. Il figlio Vince segue istintivamente l’indole materna e cerca di fare di tutto per liberarsi dal pessimismo paterno e fugge per lavorare dove si è trasferita la madre. Incontra subito l’amore: Genny, ragazza ansiosa e insicura che soffre di crisi di panico e che lui riesce a guarire con la forza della sua tenerezza. Il padre sopraggiunge inaspettatamente reclamando in modo patetico il proprio ruolo ma capisce alla fine che può accontentarsi di ricevere solo affetto, perché ormai gli equilibri e gli schemi si sono rotti, ognuno ha la propria vita e deve solo accettare la nuova situazione: fa parte della saggezza senile accettare la fine delle cose e il loro trasformarsi, la depressione è soprattutto rifiuto e chiusura ostinata rispetto al nuovo. Il film quindi al di là della semplicità e leggerezza apparente della storia è estremamente profondo, come tutti i film di Tavarelli: oltre alla sovracitata indagine sociale di sottofondo si affronta il problema della depressione, vista soprattutto come prigionia in schemi mentali del passato che non si riescono a scardinare. Liberi, indica Tavarelli, soprattutto dai pregiudizi e dagli schemi mentali obsoleti che ci impediscono di vivere al di là di ogni età e condizione sociale. La vita è fatta di ostacoli da eludere con l’intelligenza, e l’intelligenza è soprattutto elasticità mentale: il contrario della depressione, che è invece fissità in copioni mentali prestabiliti sterili e sclerotizzati - in ultima analisi la morte. Nell’opera, al di là di un lirismo malinconico che si esprime soprattutto attraverso la figura paterna straordinariamente interpretata da un commovente Luigi Burruano, prevale un sentimento di dolcezza e di speranza. Il finale infatti incita al rinnovamento e alla gioia di vivere. Il regista rispetto agli altri suoi film trova una vena più gioiosa e brillante sulla scia delle commedie giovanilistiche di Virzì, mantenendo però sempre un suo segno specifico: un senso di dolcezza malinconica e gentilezza poetica. I due giovani protagonisti offrono una buona prova funzionale al contesto ma sono effettivamente un po’ acerbi.
[settembre 2003]
regia: Gianluca Maria Tavarelli sceneggiatura: Gianluca Maria Tavarelli fotografia: Roberto Forza montaggio: Marco Spoletini interpreti: Elio Germano, Anita Zagara, Nicole Grimaudo, Luigi Maria Burruano produzione: Domenico Procacci per Fandango origine: Italia 2003 durata: 113’ distribuzione: Fandango indirizzo informatico: www.fandango.it/liberi/main.htm
