Libri – Luc Dardenne. Dietro i nostri occhi. Un diario

Quello che compiutamente e in modo esplicito emerge dalle pagine vergate da Luc Dardenne è la testimonianza di un pensiero, oltre che la sua estrema coerenza. Pagine che permettono di entrare fin dentro il grembo di una creazione artistica e dei prodromi della messa in forma di una poetica, soprattutto di un pensare in quanto tale - ovverosia costantemente inquieto - seguendo un percorso che simboleggia un accrescimento innanzitutto morale, oltre che estetico. Un quaderno in cui l’artista si mette anche a nudo, lasciando baluginare le proprie intuizioni, a volte appena accennate e che forse non condurranno a nulla, ma che rimarranno un emblema dei strani, lunghi e complicati percorsi intrapresi dalla creatività.
La firma su questi brevi e spesso illuminanti pensieri è quella dello sceneggiatore Luc, il quale è da considerarsi in quanto figura di intellettuale impegnato e di teorico cinematografico, dietro cui (come esplicitato dal sottotitolo ’Dietro i nostri occhi’) si sente la presenza del fratello Jean-Pierre, più grande di tre anni. Ma, come si può evincere dalla loro storia artistica, il rapporto che lega i fratelli Dardenne è talmente forte da farli quasi coincidere come autori dietro la mdp, lungo le varie fasi della lavorazione dei loro film, tanto che Luc più volte confessa di reputarsi fortunato per avere Jean-Pierre sempre accanto.
Il testo è composto di appunti che coprono un lungo arco di tempo, dal 1991 al 2005, giungendo fino a L’enfant: dal lavoro di Luc Dardenne come insegnante in un laboratorio di scrittura cinematografica presso la Libera Università di Bruxelles all’«Infelice avventura di Je pense à vous», dal cruccio di non avere scritto nulla di interessante alla Palma d’Oro a Cannes. In ogni momento, però, è forte la consapevolezza che la vita debba essere al centro del cinema e che il cinema debba rimanere al centro della vita, in quanto sua espressione.
«La violenza cinematografica non è una rappresentazione della violenza della realtà, non è la trasposizione di quest’ultima su un’altra scena, si accontenta di esserne il doppio saturato nella violenza dell’effetto. La colonna sonora prodotta oggi da fonici e rumoristi è esemplare di questo effetto di reale fantasmatico che paralizza e uccide qualsiasi tentativo di rappresentazione» (appunto del 4 giugno 1994). Perché i fratelli Dardenne, come detto da Luc, non utilizzano la musica perché non vogliono tappare gli occhi agli spettatori, difendendo, in questo modo, l’idea di un ruolo privilegiato che l’immagine dovrebbe ricoprire sullo schermo. Ma, tuttavia, i due cineasti sentono la difficoltà di dover lottare contro gli stereotipi visivi, «Contro le immagini che non riescono più (qualunque sia la qualità recitativa dell’attore o dell’attrice) a rompere l’immagine già vista e conosciuta dallo spettatore [...] L’unicità di ogni viso non riesce più a vincere gli stereotipi. È tremendo».
Giacché quello dei Dardenne è un cinema moderno, seppure lontano da tanta modernità, dove la rappresentazione verte sulle vita bruta e sulla estremizzazione dei rapporti tra i personaggi, ponendo al centro della narrazione i dimenticati, quelli che vivono e lottano ai margini della società, con dentro di sé il desiderio di non scomparire, come Rosetta, per una poetica del disorientamento che è fondamentale nella loro filmografia. Basti pensare poi a come i Dardenne siano tra i pochi uomini nella storia del cinema ad avere posto l’accento sul lavoro, sulla sua presenza come sulla sua assenza, comunque sulla sua materialità, senza che, quindi, la loro opera possa essere in ogni caso assimilabile al ’tempo libero’. Pertanto il loro è un cinema della diversità, che vive all’estremo, nascendo dall’incontro di tematiche bibliche, di forti tragedie, con una contemporaneità osservata attraverso una lente di stampo marxista. E il loro cinema è la restituzione di un incontro che rispecchia l’etica dell’Altro di Emmanuel Lévinas, vero nume tutelare che più volte viene espressamente citato in Dietro i nostri occhi, morto nel 1996, proprio durante le riprese de La promessa. Filosofo che si trova in primo piano nella personale bibliografia di Luc Dardenne, il quale cita anche altri innumerevoli pensatori e artisti, da Freud a Shakespeare, da Aristotele a Bazin, da Hegel a Serge Daney, da Flaubert a Dostoevskij (ad ogni modo in aiuto al lettore interviene un’appendice con l’elenco delle opere citate lungo il diario).
E, ancora, tra le parole dello sceneggiatore, compare spesso pure il cinema degli altri, a volte appuntando solo i titoli dei film visti (con vari esempi di cinema classico americano), in altre occasioni dilungandosi più o meno approfonditamente con le proprie considerazioni; interessante, in proposito, una non tipica interpretazione della figura di Grace, la protagonista di Dogville di Lars von Trier.
Nella seconda delle due parti in cui il volume è diviso sono riportati i copioni dei meravigliosi Il figlio e L’enfant e dell’ultima pellicola dei Dardenne, Il matrimonio di Lorna. Significativamente ciò serve per mostrare i risultati dopo la vorticosa e faticosa gestazione delle idee, la prassi dopo la teoria, divenenendo così una testimonianza ancora più persistente - perlomeno per chi ha avuto la fortuna di avere incontrato i loro film, ancora prima che questo prezioso libro - di schegge di vita che rimarranno impresse sulla carta, come nella memoria.
Autore: Luc Dardenne
Titolo: Dietro i nostri occhi. Un diario
Editore: Isbn
Dati: 368 pp, brossura, formato tascabile, 2 fotografie a colori fuori testo (in seconda e in terza di copertina)
Prezzo: 16,50 €
Anno: 2009
webinfo: Scheda libro sul sito Isbn (con possibilità di acquisto scontato a 10,00 € + spese di spedizione)
