Lincoln

La Storia ci sporca le mani. Non perché sia coperta dalla polvere che in genere si deposita sui grossi volumi delle biblioteche che minacciano di estinguersi a fronte dell’avanzata del tablet sapiens, ma perché il suo cuore è nero come il carbone e lascia, ad ogni battito, ombre sporche, di quelle che i pittori usano poi per i disegni più cupi.
Spielberg ha cominciato a sporcarsi le mani con questo battito molto presto nella sua carriera di regista. Solo che, fino ad un certo punto della sua filmografia, la sporcizia che si aggrappava alle sue mani, sembrava quella, ugualmente nera, ma più unticcia, dell’olio delle macchine del luna-park.
Il regista di Cincinnati pensava alla Storia, ma aveva davanti alla cassa della sua giostra tante persone che avevano pagato un biglietto e chiedevano la loro parte di divertimento. Il commercio, per un po’ di tempo, è stato il diavolo nero col quale fare un patto scellerato. Da questo connubio tra uno strano bisogno di dire la sua e un meno onesto bisogno di incasso sono usciti film ambigui in cui le contraddizioni del mondo vero dovevano stare ad un passo dal bisogno di fiaba e di evasione degli anni ’80.
Questa ambiguità è stata vista come un tradimento per tutti gli anni ’90. Così si colgono echi di Shoah persino in Jurassic Park, mentre qualcuno ha avanzato il dubbio che la Storia sia, in fondo, stato il parco a tema di Schindler.
Fantasia e orrore si sono presi a braccetto. In realtà sono il braccio che disegna un braccio che disegna un altro braccio di Escher: ghirigoro infinito di specchi deformati e deformanti.
Lincoln, tra i film di Spielberg, è quello che più di tutti ha messo da parte l’olio che si usa per far correre le montagne russe per lasciare che il solo sporco che si deposita sullo sguardo sia quello della Storia.
A fronte una riflessione a carboncino sul tema del Potere e dell’uso che se ne può fare. Lincoln è l’Uomo investito di una carica che è anche un Destino. Come Mosè è intermediario tra il Dio-popolo con cui rinnova un patto e un astratto bisogno di giustizia che va reso concreto e vero. E come il personaggio biblico sale un Monte ideale per ridiscenderne con la tavola delle leggi mentre intorno tutti adorano vitellini d’oro. Come Schindler, infine, è costretto a sporcarsi le mani con altri uomini di potere al fine di ottenere il suo scopo: l’abolizione della schiavitù e quindi di un principio di differenza e segregazione.
Lincoln, in fondo, è un tiranno. Parte dalla presunzione di capire quello che è giusto per il suo popolo e ricorre ad ogni mezzo, lecito o illecito, per perseguire quel fine. Quello che lo distingue da un John Hammond, padre di dinosauri, è che si rivolge al passato in cerca di ragioni e non di sogni infantili. Dal passato più remoto trae le massime di Euclide che gli dicono che se due cose sono uguali ad una stessa cosa devono per forza essere uguali tra loro e non il DNA di un dinosauro nel sangue succhiato da una zanzara. Entrambi perseguono un sogno ed entrambi devono affrontare sul loro percorso l’incubo ad esso congiunto (che per Lincoln è la guerra di secessione), ma il primo segue le cose di per sé evidenti, il secondo quelle inesistenti.
Il cinema di Spielberg mette in scena sempre la stessa ossessione: la ricerca del sogno che confina con l’orrore e il continuo sporcarsi le mani con le contraddizioni del Reale. Tutto il suo cinema racconta di leggi infrante che reclamano il loro costo di sangue. Leggi cui succedono altre leggi. Si spera più giuste.
La condotta morale non regge, in questo sguardo, all’assoluto astratto. Per il proprio fine si mente, si inganna, si depista l’altro finché è possibile farlo. Come per il bambino ebreo che in Schindler’s list tremante fa un passo avanti per dire al nazista che quello aveva rubato del cibo è lo stesso che ha appena ammazzato. Per lo stesso principio, in fondo, per cui due cose, che sono uguali ad una stessa cosa, devono essere uguali tra loro.
In fondo il potere che il piccolo bambino ebreo ha avuto modo per una volta di esercitare è stato quello di poter raccontare una storia: la favola secondo la quale il colpevole è già stato giustiziato. Lincoln di storie da raccontare ne ha tante. Una per ogni occasione. Bugie, il più delle volte, per prender tempo e salvare così qualche vita. Potere estremo del racconto sin dai tempi di Le mille e una notte. Per Spielberg il racconto ha sempre un potere salvifico, magico, assoluto. Che però si sporca sempre le mani con la Storia.
Lincoln attraversa i campi disseminati di cadaveri e il suo sguardo si macchia di quella stessa cenere che cadeva dal cielo in Schindler’s list. Passa un anno, ma il carboncino del pittore (o quelli di un vecchio proiezionista) gli disegnano sulla fronte rughe che bastano per un decennio. Narrare fiacca e invecchia.
Come invecchia lo stesso Spielberg che con Lincoln firma il suo estremo capitolo della trilogia sulla schiavitù, ma anche il suo più convinto e fedele autoritratto. Perché anche il regista è stato osannato dalle masse, idolatrato e portato a trionfo, ma anche lui ha cominciato a capire che le sue favole servono a prender tempo per salvare delle vite e delle idee. Come Lincoln anche Spielberg è uomo di potere. Quello del regista è, però, il potere subdolo delle immagini che si piegano tanto da creare mondi paralleli. E come Lincoln anche il suo regista ad un certo punto si svincola dal bisogno di piacere alle masse per fare i film che è giusto fare.
Perché Lincoln è, forse, l’unico film giusto da fare in questi tempi bui, di crisi planetaria, un magnifico monumento cinematografico, investito di una tensione interna che sembra montata sulle parole (superba sceneggiatura) e invece sta tutta nella composizione sapiente degli sguardi che circondano, avvolgono, accarezzano il loro oggetto.
Ma forse anche perché quella candela che si spegneva all’inizio di Schindler’s list resta, invece, accesa alla fine di Lincoln, prendendo corpo in parole che ancora oggi ci infiammano gli animi.
PS: Sarebbe forse il caso dire: ci infiammerebbero gli animi se non intervinisse un doppiaggio italiano a spegnere ogni sogno ed entusiasmo.
(Lincoln); Regia: Steven Spielberg; sceneggiatura: Paul Webb, John Logan, Tony Kushner; fotografia: Janusz Kaminski; montaggio: Michael Kahn; musica: John Williams; interpreti: Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, James Spader, Hal Holbrook, John Hawkes, Jackie Earle Haley, Bruce McGill, Tim Blake Nelson, Joseph Cross, Jared Harris, Lee Pace, Peter McRobbie, Gulliver McGrath, Gloria Reuben, Jeremy Strong; produzione: Office Seekers Productions, Amblin Entertainment, DreamWorks SKG; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA, 2012; durata: 150’
