Lo spazio bianco, la spazio in cui aumenta la temperatura delle emozioni (Conferenza stampa)

Venezia 66 non è finita, non ancora. Non parliamo di film e di questioni millantate tra gli incensatori e i dissidenti, tra adepti ma non solo. Ci riferiamo ai premi. Perché da quest’anno è stato abolito il momento della consegna dei premi, che quindi è slittata in altri luoghi e alla presenza di altre platee. Tra le “statuette” consegnate a posteriori alla Casa del Cinema due importanti riconoscimenti, attribuiti dai giornalisti cinematografici del SNGCI, e legati al Premio Pasinetti, sono andati al film Lo spazio bianco, diretto da Francesca Comencini: il premio come miglior film italiano in concorso tra quelli presentati a Venezia e quello per la migliore attrice a Margherita Buy "per l’intensità e insieme alla forza del suo assoluto protagonismo sullo schermo e sulla scena del festival".
Domenico Procacci, produttore del film insieme a Laura Paolucci per Fandango e a Rai Cinema, ha dichiarato che il film uscirà il 16 ottobre in 150 copie, distribuito da 01 Distribution per un budget di 3.500.000 euro e ha aggiunto, per scardinare certi luoghi comuni che già stavano avvelenando il film a Venezia: “È vero che questo film colpisce le donne in maniera particolare, ma anche un uomo duro si può commuovere di fronte a un film così”.
Francesca Comencini, che ha realizzato il film anche da madre single oltre che da regista, ci spiega la sottile linea d’ombra tra la genesi autoriale di quest’opera, intrisa di alcuni elementi autobiografici, e la recezione da parte del pubblico, provando a virare intorno alle possibili interpretazioni ideologiche e sociologiche che potrebbero scaturire intorno a un tema così delicato: “I film uno li fa poi finiscono per appartenere a chi li vede. Chi vede un film entra completamente nel giudizio. Sono fiera e contenta di un piccolo film che parla di una grandissima cosa che è il nascere, la vita, ma anche il ritratto di una donna, di un bellissimo personaggio, nato dalla penna di Valeria Parrella, che ho offerto con grande onore a Margherita Buy!”. Il film della Comencini è uno sguardo femminile su un universo femminile, ma incontra in questa traiettoria una serie di percorsi che appartengono universalmente al genere umano. Non si tratta dunque di snodi in qualche modo sessuati, ma di binari che coincidono con la stessa forza per gli uomini e per le donne. Caterina D’Amico (Rai Cinema) ci tiene però a ribadire che la vera originalità di questa pellicola è nella narrazione piuttosto che nell’appoggio a una causa di genere: “Si è detto spesso che non c’è spazio nella cinematografia italiana per le donne, invece io credo che ci siano dei bei ruoli femminili e penso a La siciliana ribelle, a Vincere, a Un giorno perfetto, a Due partite: sono tutti film in cui la donna è il motore e il cuore del film”. A proposito di donne, Margherita Buy, che sembra aver amato molto il suo personaggio, afferma: “È un ruolo meraviglioso e diventa ancora più intenso una volta sceneggiato il libro. È dedicato a quelle donne che affrontano tutto da sole con grande forza. Quando sento parlare quelle donne, che poi sono felici, e mi accorgo che hanno una grande forza e una grande intensità, sono ancora più orgogliosa di questa parte. È stato un tipo di donna di cui si parla molto poco e io stessa ne sapevo molto poco...” e aggiunge con una certa timida emozione “il fatto di avere una figlia poi mi ha dato quella sensibilità, mi ha riportato a certe sensazioni che avevo provato. Il percorso di Maria in fondo non è solo di sofferenza ma anche di crescita”.
Lo spazio bianco non è però solo una storia di una donna: è un film ambientato a Napoli e la presenza dei suoi spazi, dei suoi vicoli, del suo sole nascosto tra le ombre della malavita si configura nell’opera come un personaggio stesso. La regista spiega infatti “Il libro ti fa talmente vivere dentro Napoli che la città non è solo uno sfondo. Quando ho iniziato a sceneggiarlo mi sono chiesta se fosse giusto ambientare questa storia a Napoli perché questa storia poteva avvenire ovunque, però poi mi sono resa conto che la bellezza struggente di questa città continua ad avere a che fare con un mondo di sopravvivenza e di resistenza e questo mi piaceva”. All’ombra del Vesuvio Francesca Comencini ha raccontato anche altre storie collaterali a quella principale “tutti flash scelti per essere specchi del personaggio femminile, piccole vicende intorno a Maria che fossero sempre funzionali a mandare avanti la storia e a suscitare la sua voglia di andare avanti, di essere forte. Da questo punto di vista per esempio la magistrata potrebbe essere Maria da grande, quando si ritroverà a fare di nuovo delle scelte. E il suo discorso mi piace per l’idea di una risposta che non c’è perché di fronte al continuo domandarsi non abbiamo mai risposte codificate”. A proposito del cast, del quale fanno parte tra gli altri Gaetano Bruno (Baarìa), Giovanni Ludeno (Noi credevamo regia ancora in lavorazione), Antonia Truppo (La doppia ora), Salvatore Cantalupo (Gomorra), la cineasta romana puntualizza che non è una caso se ritroviamo tanti attori napoletani: “gli attori napoletani sono molto moderni, c’è una realtà attoriale a Napoli molto bella e lontana dagli stereotipi. Quando sono stata a Napoli all’inizio mi sono levata dalla testa le idee che mi potevo fare e mi sono concentrata sugli spazi; poi nel film potrete ritrovare immagini forti, come il terrazzo, che è quasi un utero, ma volevo essere neutrale rispetto alla città”.
Alla regista è stato inoltre consegnato il premio Gianni Astrei pro-life, attribuito dal Movimento per la vita, che Francesca Comencini ha ricevuto pur non condividendone le motivazioni - "il film propone chiaramente il valore della maternità" - in quanto, ha sostenuto con una lodevole onestà intellettuale, la vita può essere difesa anche dividendo la fede dalla laicità, perché "ci sono decine di donne che crescono da sole i loro figli, ma quei bambini non per questo sono orfani, appartengono a famiglie che di certo non andrebbero considerate di serie B e ci sono invece donne che scelgono l’aborto, ma non per questo sono delle assassine". Ci vuol coraggio, a volte, per opporsi a interpretazioni di comodo, o di parte, della propria opera, ma quando questo c’è fa almeno il rumore fragoroso di un lungo, intenso e caloroso applauso, tanto per iniziare.
