Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet

Jean-Pierre Jeunet è un autore sempre estremamente coerente nella sua idea di cinema, compressa tra una dimensione fiabesca ed elementi tragicamente realistici. Da Delicatessen passando Il favoloso mondo d’Amelie fino a questo Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet si osserva un chiaro filo rosso contiguo in cui si evince una messa in scena tutta tesa a mostrare una visione del mondo in cui lo spazio narrativo è appunto un luogo anti-naturalistico inusitato, dove vivono famiglie atipiche e generalmente poco presenti nell’universo cinema. Al contempo queste realtà collassano in presenza di elementi tragici che affliggono i protagonisti di queste storie.
In questo contesto l’autore, anche scrittore del film, decide di raccontare una favola per bambini, con l’abilità però di instaurare con questo pubblico un dialogo maturo e non banale, tale per cui i momenti più tragici vengono espressi (allusi e mai direttamente mostrati) non nel segno della violenza ma in quello di un dramma tutto interiore.
Il viaggio del titolo, che è anche quello del protagonista, è in fondo un ’classico’ road-movie in cui il centro del cambiamento è ancora una volta da trovare nello stesso viaggio e in cui la meta è il banco di prova e l’occasione che ha il giovane di scoprire nuovi territori del suo animo ancora inesplorati e dunque aprirsi. Non un viaggio di formazione o di ingresso nell’età adulta però - sarebbe infatti sbagliato attribuire questo senso al film - qui in ballo c’è qualcosa di antecedente, che nell’essere umano è trasversale e attiene ad adulti e a ragazzi: la capacità di instaurare rapporti profondi.
Se infatti la famiglia disfunzionale portata sullo schermo è atipica nella sua messa in scena è pur vero che questa è una degna metafora di quel modello di ’famiglia’ problematica che sovente viene immaginato e raccontato oggi, in un qualche modo modello paradigmatico. Realtà in cui problematiche come l’incomunicabilità, le frivolezze, le isterie, i silenzi sono il fondamento. Ma è proprio l’azione del protagonista a generare una dinamica di causa-effetto che sarà trasformativa dell’universo famigliare, come in un’azione di ’framing’ si instaura una sorta di condizionamento ineluttabile a cui forzatamente la famiglia è destinata, trasformazione che riporta ad un nuovo equilibrio ed una nuova pacificazione.
Il tutto è raccontato con una libertà e una leggerezza anarchica, tra un Pennac e un Vigo, i cui toni ironici sono proficui per la riuscita del discorso tutto. Il film ne esce dunque compatto e sostanzialmente giusto.
(The Young and Prodigious T.S. Spivet); Regia: Jean-Pierre Jeunet; sceneggiatura: Jean-Pierre Jeunet da un romanzo di Reif Larsen ; fotografia: Thomas Hardmeier ; montaggio: Hervé Schneid ; musica: Denis Sanacore ; interpreti: Kyle Catlett (T.S. Spivet ), Helena Bonham Carter (Dr. Clair), Judy Davis (G.H. Jibsen), Callum Keith Rennie (Padre); produzione: Tapioca Films; distribuzione: IIF; origine: Francia, Usa, Canada, 2013; durata: 105’
