Lourdes

Una grande sala da pranzo vuota inquadrata dall’alto. Due infermiere finiscono di apparecchiare i tavoli. In sottofondo parte imponente l’Ave Maria di Schubert. Dalla destra dell’inquadratura iniziano ad entrare uno dopo l’altro i partecipanti alla mensa: persone disabili, signore anziane, militari, volontarie. La loro entrata in scena assomiglia ad una coreografia ben studiata, ad una danza di anime ordinate, ad un ingresso leggiadro di vite all’apparenza spente ma in realtà ancora piene di speranza.
Un incipit ipnotizzante quello di Lourdes, opera dell’austriaca Jessica Hausner presentata in concorso a Venezia 66; un incipit che lascia allo spettatore tante aspettative e che per fortuna non rimane uno straordinario segmento isolato nell’opera. Il film della Hausner infatti sorprende ed emoziona per la sua intera durata. Dietro la sua esteriore semplicità Lourdes cela una complessità strutturale e contenutistica impressionante. La regista, anche autrice della sceneggiatura, con il suo racconto del viaggio a Lourdes di un gruppo eterogeneo di pellegrini, riesce a fondere in ogni inquadratura la natura contraddittoria della fede, della religione cattolica, della Chiesa come istituzione. In ogni scena affiorano allo stesso tempo irrazionalità, bigottismo, speranza, insicurezza, disillusione, amore per il prossimo, devozione, ingenuità ed a tratti (non pochi) stupidità.
Nonostante il suo incedere narrativo venga avvertito ad un primo impatto lento e compassato, il film non concede in alcun momento momenti di pausa e cali di attenzione. L’opera avvolge lo spettatore in un’aura riflessiva e contemplativa, resa grazie ad un’essenziale messa in scena che però non perde di vista nessun dettaglio. La Hausner offre una prova di regia notevole. Ci si rende conto di ciò solo guardando oltre la superficie di Lourdes. I sottotesti del film sono infiniti. Ogni inquadratura nasconde un significato, è metafora di un pensiero, è dialettica degli opposti; in ognuna di esse si ritrovano innumerevoli simbolismi; i movimenti di macchina, seppur leggeri e mai troppo costruiti, non sono mai fini a se stessi, ma aiutano a scavare nelle psicologie dei personaggi, ad entrare nel profondo del clima religioso e di fede (ma anche turistico-consumistico e bigotto) di Lourdes.
Oltre alla delicatezza del tocco della regista, un altro aspetto che rende Lourdes grande cinema è la totale assenza di presunzione nell’emettere giudizi. Durante la visione del film, non viene mai offerto un giudizio ben preciso sul mondo descritto: ogni tipo di giudizio rimane immanente alla realtà rappresentata sullo schermo. Considerata però l’obiettività con cui l’autrice dipinge tutte le diverse facce dell’universo cristiano-cattolico, lo spettatore non diventa destinatario di nessun messaggio, ma viene lasciato nella sua libertà di fede e di credo.
Miracolo o non miracolo? Giustizia divina o no? Credere o non credere? Scienza o religione? E’ inutile porsi alcun quesito davanti all’opera della Hausner; inutile, dopo aver visto il film, aprire dibattiti sulla fede e sulla religione. Guardando Lourdes è giusto mettere da parte tutti questi dubbi e lasciarsi solo trasportare emotivamente ed intellettualmente dalla magia visiva del suo racconto, dalla verosimiglianza dei suoi personaggi, dai suoi paesaggi, dai suoi dialoghi dolorosi ed al contempo ironici. E rendersi conto che ciò che vuole trasmettere è solo un senso di leggerezza e di felicità.
(Lourdes) Regia: Jessica Hausner; sceneggiatura: Jessica Hausner; fotografia: Martin Gschlacht; montaggio: Karina Ressler; interpreti: Sylvie Testud, Lèa Seydoux, Bruno Todeschini; produzione: Coop99, Parissien de Production, Essential Filmproduktion; distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Austria; durata: 99’.
