Macbeth
Roma, Teatro Argentina – Per il terzo anno consecutivo, dopo Misura per Misura e Molto rumore per nulla, la compagnia Lavia Anagni torna a calcare le scene con un altro testo shakespeariano. È la volta, infatti, diMacbeth, il dramma scozzese. Dramma universale dell’incertezza dell’essere. Ma, anche, dramma, altrettanto universale, della brama di potere.
Quello che colpisce positivamente, al di là del gusto soggettivo di ciascuno spettatore, è il vedere come Lavia, con coerenza e onestà, porti avanti un’idea di teatro, in particolare per quanto riguarda le regie shakespeariane, dalle caratteristiche ben definite. Un teatro sopra le righe, estremamente simbolico, quasi espressionista (tanto nelle scenografie che nell’interpretazione) anche se tendenzialmente elitario. Tuttavia quando lo si apprezza non si può rimanerne delusi.
Sempre al di là di qualsiasi giudizio soggettivo, indiscussa è la straordinaria imponenza dell’assetto scenografico. Barocca, strabordante, sontuosa, la scenografia è sempre di massimo effetto. E, sebbene alcuni cambi scena possano risultare superflui per chiunque ritenga che per fare teatro sia sufficiente uno spazio vuoto, il piacere della vista è assolutamente garantito anche con questo Macbeth.
Una scenografia costruita su piu livelli. Sul proscenio arredamento da camerino: il lavandino dove Macbeth, il ‘povero attore che s’agita e pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla’, e consorte tenteranno invano di lavare i propri sensi di colpa; lo specchio, con il quale tenteranno di guardarsi dentro e carpire la propria (non-)essenza. E, ancora, ammassati, attaccapanni, le sedie, casse, bauli di trovarobato e sartoria, simbolo del grande ‘Palcoscenico del Mondo’.
I numerosi cambi scena ci danno una percezione quasi cinematografica dello spettacolo. Ci si ritrova immersi nella cupa e nebbiosa atmosfera della brughiera, dove le streghe, creature misteriose e ferine, faranno la loro apparizione per poi passare a diversi interni (la camera da letto dei coniugi, la sala dei riceventi), dalle tinte fosche e decise che ricordano la pittura del Caravaggio. Esemplare è l’apparizione, velata da un telo, del corpo esanime del re Duncan che giace su di una distesa scarlatta.
Inconfondibile è, ancora, l’interpretazione vera e propria. Energico e versatile, Lavia dà vita a un Macbeth ‘pieno di strepito e furore’. Il suo sembra essere in tutto e per tutto il ‘racconto narrato da un idiota’.Gesti nevrotici, esagerati, esaltati da costumi altrettanto grotteschi. Un Macbeth-attore-marionetta che indossa scarpe con rialzo, doppi petti esagerati, una corona di carta, un mantello decisamente abbondante nel quale Lavia si dimena come un fantoccio. E la sua Lady Macbeth (Giovanna Di Rauso), isterica, febbrile, delirante, non è da meno.
La parola, tuttavia, nel teatro di Lavia arriva in un secondo momento. Anche questa traduzione di Alessandro Serpieri sembra infatti non voler rinunciare allo stile ampolloso e poco fluido, con il quale ci si ostina, soprattutto nel nostro paese, a trasformare quello di Shakespeare in un teatro colto ed elitario. Anche in questo caso il senso del testo viene percepito attraverso le infinite varianti vocali degli interpreti e i numerosi ‘suggerimenti’ scenografici (che possono, però, essere colti solo da chi già conosce il testo).
In ogni caso, però, è uno spettacolo che non si dimentica.
Autore: William Shakespeare;Traduzione: Alessandro Serpieri;Regia: Gabriele Lavia; Interpreti: Gabriele Lavia, Giovanna Di Rauso, Maurizio Lombardi, Biagio Forestieri, Patrizio Cigliano, Mario Pietramala, Alessandro Parise, Michele Demaria, Daniel Dwerryhouse, Fabrizio Vona, Andrea Macaluso, Mauro Celaia, Giorgia Sinicorni, Chiara Degani, Giulia Galiani; Scene: Alessandro Camera; Costumi: Andrea Viotti; musiche: Giordano Còrapi; Luci: Pietro Sperduti.