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Macondo - Concorso

Pubblicato il 15 febbraio 2014 da Matteo Galli

VOTO:

Macondo - Concorso

Oltreché dallo stucchevole drammone di Yamada intitolato The Little House il concorso viene chiuso da un onesto film che batte bandiera austriaca, l’autrice si chiama Sudabeh Mortezai, è nata in Germania, a Ludwigsburg, figlia di genitori iraniani. Il film, un debutto, s’intitola Macondo, dal nome dell’insediamento multinazionale di profughi ed extracomunitari, situato alla periferia di Vienna, un luogo che, per gli standard italiani, pare quasi un paradiso e dunque non usurpa affatto la denominazione marqueziana.
Come per molti altri film quest’anno in concorso (da Jack a Boyhood da La tercera oreilla per tornare indietro al Mustafa Zero da giovane del film di Wes Anderson), la prospettiva è quella di un ragazzino, Ramasan, undicenne, di origine cecena, che cresce accanto a una madre un po’ catatonica e surroga il ruolo paterno con le sorelline più piccole. Il padre infatti è morto in guerra contro i russi, anzi è considerato un eroe di guerra, nella casetta di Macondo fa bella mostra di sé un altarino a lui dedicato. Un autentico ometto è Ramasan, serio e affidabile, consapevole, sveglio. Fin dalla primissima scena lo vediamo assumersi con esemplare responsabilità tutti i ruoli richiesti, fra cui quello di interprete per la madre, la quale il tedesco, dopo sei-sette anni, lo mastica ancora a malapena. Ma è proprio in questa scena che si annida quello che si dimostrerà essere il conflitto di fondo: alla domanda dell’assistente sociale se la madre abbia un nuovo compagno, il ragazzino nega, senza nemmeno interpellare la madre; quando l’assistente lo prega di chiederlo direttamente alla madre, il ragazzino le chiede se lui, Ramasan, ha un fratello, e la madre, ovviamente risponde no.
Di altri uomini Ramasan non vuole saperne: l’uomo di famiglia è lui, e basta – oltre, ovviamente, alle icone del padre eroe. Fin quando,invece, un altro uomo arriva: Isa, anch’egli reduce dalla guerra russo-cecena, anzi (almeno così afferma) amico del padre morto, di cui reca qualche reliquia, soprattutto un orologio che il ragazzino, con orgoglio, eredita. Ma l’arrivo di Isa, una timida simpatia fra Isa e la madre, destabilizzano del tutto l’equilibrio di Ramasan che nella seconda parte del film, progressivamente si trasforma, malgrado i prodighi consigli di Isa che lo guida e lo protegge, malgrado le affettuose attenzioni dell’imam che vorrebbe vederlo lentamente, da quell’ometto che è, cominciare a frequentare la moschea, malgrado (o forse è proprio questa la causa scatenante) ciò che apprende origliando una seduta socio-terapeutica della madre: non è stato, quello di sua madre con suo padre, nient’affatto un matrimonio d’amore, come da tradizione cecena la madre è stata rapita dal padre e presa a forza.
Ramasan assume d’ora innanzi comportamenti non più adeguati: diviene sgarbato, asociale e compie anche piccoli delitti, i servizi sociali cominciano a tenerlo d’occhio. Ma poi il ragazzino ricorda di com’era, abiura le cattive compagnie, al punto che in questa, un po’ meccanica, suddivisione tripartita, la terza parte, ossia la fine del film diviene conciliatoria, in modo quasi imbarazzante. Nell’insieme Macondo è come si diceva un film corretto, girato in modo professionale, con una sceneggiatura buona, dove una decina di minuti in meno non sarebbero guastati. Il ragazzino, come tutti i ragazzini di questa Berlinale, è molto bravo.


CAST & CREDITS

(Macondo) Regia: Sudabeh Mortezai; sceneggiatura: Sudabeh Mortezai; fotografia: Klemens Hufnagl; montaggio: Oliver Neumann; scenografia: ; interpreti: Ramasan Minkailov (Ramasan), Aslan Elbiev (Isa), Kheda Gazieva (Aminat); produzione: FreibeuterFilm, ORF Film/Fernseh-Abkommen; origine: Austria; durata: 93’.


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