Mad Max - Fury road (Fuori Concorso- Cannes)

«Mentre il mondo crolla, ognuno di noi va a pezzi.
Era difficile dire chi era più pazzo...io o gli altri!»
Max
Era il 1979 quando un certo George Miller, con in tasca una laurea in medicina e tanto amore per il cinema d’azione, decise di (ri)scrivere a modo suo i contorni di un genere che, possiamo dirlo, all’epoca non era ancora né carne, né pesce. Con lo sguardo rivolto verso un futuro selvaggio e crudele, tra le polverose e infinite autostrade australiane, dopo aver scelto un giovane attore misconosciuto di nome Mel Gibson, appena uscito dall’accademia, Miller soffiò polvere, metallo e sangue sul proprio genio immaginifico, conferendogli un corpo e un nome destinati a incarnare un archetipo (sicuramente action-cinematografico) immortale nel tempo: il post-apocalittico. Quel film si intitolava Mad Max e sono trascorsi ben trentasei anni dalla sua nascita. Roba vecchia? Assolutamente no.
Mad Max – Fury road non è affatto un remake, ma un nuovo capitolo (il quarto) della saga del Guerriero della strada, ora non più impersonato da Mel Gibson, ma con gli occhi da bombardiere di Tom Hardy, stella nascente del firmamento hollywoodiano, già osannato nel recente Locke di Steven Knight: in fuga dal proprio passato costellato di morte e dolore, Max Rockatansky viene rapito da un gruppo di invasati, i War Boys, che lo portano nella Cittadella governata dal vecchio e crudele Immortan Joe (lo stesso Hugh Keays-Byrne già partecipe dei primi capitoli con Gibson), per essere usato come “sacchetta di sangue”, essendo Max un donatore universale, in un mondo corroso all’osso, reso acido e inospitale dalle scorie di apocalittiche guerre nucleari, portatrici di malattie e carestie. Sfruttando la ribellione dell’Imperatrice Furiosa (una combattiva Charlize Theron), Max riesce a sottrarsi alla prigionia dei War Boys, ma la strada verso la definitiva libertà appare fin da subito irta di ostacoli e quasi irraggiungibile.
Il più grande pregio di Mad Max – Fury Road sta tutto nella titanica e perfettamente compiuta impresa di George Miller di riprendere per mano la sua creatura, spogliarla dei vecchi fasti che hanno contribuito a immortalarla come uno dei cult-action più in voga negli anni Ottanta, lavarne via le scorie da superato e imbolsito b-movie e soffiarle sulla pelle, nell’anima e nella pancia una nuova essenza rigeneratrice: così Mad Max – Fury road si erge come un colosso, spazzando via a pedate e a rombi di motore fragorosi come tuoni i dubbi e le remore su un progetto considerato fin troppo commerciale e vendibile, fine a se stesso. Centoventi minuti di pura adrenalina proiettati su schermo, un war-road-movie graffiante ed esplosivo costruito con un montaggio quasi schizofrenico, ma sincronizzato alla perfezione, in grado di mettere in risalto dettagli incastrati ad arte a comporre un mosaico narrativo compatto, sempre in evoluzione, mai confuso ed essenziale. Le estese lande desertiche nelle quali si muovono i protagonisti trasportati dalla follia irrefrenabile che li divora, il ricordo triste di un mondo che non esiste più, ucciso dalle manie di potere dell’uomo avido e crudele, le malattie, la fame, la benzina e il metallo, così come la speranza di rinascita, affidata al seme delle terra stessa e alla fertilità della donna-madre, sono solo strumenti scenografici, condotti funzionali al compimento di uno show mozzafiato, in perenne climax, del quale, a un certo punto, lo spettatore non può più farne a meno e lo anela, lo invoca a denti stretti, mai sazio, dipendente da così tanta epicità. Sfruttando l’edge arm, un braccio meccanico flessibile e mobile, collegato alla macchina da presa, Miller turbina tra i mezzi lanciati sulla Fury road, mai statico, mai domo, mai ripetitivo, suggestionando la visione con riprese mozzafiato e gonfie di trasporto emotivo, senza mai abbandonare i personaggi nella confusione generale: ed è proprio lì il tocco magico, la straordinaria abilità di costruire un intero film folle e magniloquente senza perdere mai di vista l’obiettivo principale, ovvero intrattenere e divertire lo spettatore con un’eruzione di azione sempre lucida e funzionale. Il tutto combacia con la volontà di Miller di costruire un film che vive anche grazie a una colonna sonora apocalittica, un ruggito di accordi metallici e percussioni infernali, un po’ come sarebbe ascoltare i Black Sabbath da un orecchio e gli Iron Maiden dall’altro, continuando ad alzare il volume oltre ogni limite massimo.
Quando i motori si spengono e ci si guarda attorno senza vedere altro che disperazione e rabbia e angosce e un fievole barlume di speranza per il futuro, è già tempo di ripartire, di rimettersi in moto. Non c’è altro modo se si vuole sopravvivere. Il miglior prodotto pop degli ultimi dieci anni. Altro che i Guardiani della galassia.
(Mad Max - Fury road); Regia: George Miller; sceneggiatura: Geroge Miller, Brendan McCarthy, Nick Lathouris; fotografia: John Seale; montaggio: Jason Ballantine, Margaret Sixel; musica: Junkie XL; interpreti: Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult, Huch Keays-Byrne, Rosie Huntington-Whiteley, Riley Keough, Zoe Kravitz, Abbey Lee, Courtney Eaton; produzione: George Miller, Doug Mitchell, P.J. Voeten; distribuzione: Warner Bros. Italia; origine: U.S.A.-Australia, 2015; durata: 120’; webinfo: Sito Ufficiale Proposta di voto: 4 stelle su 5
