Magic Valley
Jaffe Zinn fa il suo esordio cinematografico con un film cupo, visivamente molto forte ma dall’esito molto altalenante.
Un giorno, dall’alba alla sera, in una cittadina del Midwest, una campagna americana comune all’immaginario filmico e intrisa di cultura redneck. Le vite di alcune persone legate da un filo rosso si intrecciano e si sovrappongono all’interno di una storia lineare.
Risiede nella dinamica dello svolgimento il punto debole di questo film, e questo ha molte ragioni, in primis la regia: ci assale infatti una continua generale sensazione di già visto, di già immortalato, di replicazione di stili. E quello che si para davanti agli occhi sembra una vecchia o quantomeno solo una stancante ripetizione; le inquadrature, la luce, in generale la regia aderisce troppo a quella di tanti film di Van Sant. E se strizzare l’occhio ai grandi registi è perdonabile in un esordiente, non lo è copiare. In questo modo si mette in scena solo una sterile dedizione ad un sistema rappresentativo a cui manca però il talento e l’originalità per realizzarlo degnamente. A questo si associa poi una scrittura prevedibile, non troppo lontana, in fondo, da tanti film di Iñárritu, dove le interrelazioni tra i personaggi sono chiare e purtroppo evidenti fin dai primi minuti del film. E dove invece viene a mancare quell’estraniazione tipica del nello sviluppo e nel volgere indeterminato delle opere del regista messicano. E se da una parte non c’è ovviamente il desiderio di stupire la platea con la scrittura, rimane sempre qualche stortura nella dinamica degli eventi narrati, una frizione che ne frena il principio di catalizzazione e di immedesimazione con gli stessi.
Dalla sua il film ha però una certa linearità nella tematica di fondo. La messa in scena dell’attesa e della scoperta è sviluppata in maniera congrua e corretta. E nel suo evolvere quest’attesa esasperante muta, quasi a portare una sensazione di liberazione nel finale, quando viene sciolta.
La morte è mostrata fin dalle prime scene. I cadaveri dei pesci, l’ossessione per la caccia, il gioco sul soffocamento, sono tutti elementi che richiamano ossessivamente proprio la morte. Elementi ricercati dai personaggi e correttamente mostrati dal regista attraverso una sovrabbondanza di componenti naturali, che creano un effetto scostante e disturbante nello spettatore. La natura è ripresa dalla calda fotografia di Sean Kirby, capace di regalare al film un look inusitato, e originale nel voler mostrare il disfacimento fisico non nella dissoluzione dei colori ma nella loro raggiante nitidezza.
La messa in scena di tali tematiche incute allora nello spettatore un legittimo senso di spaesamento, che legato ad una recitazione eterea e straniante, rende, in questi momenti incisivi, il film efficace.
(Magic Valley); Regia: Jaffe Zinn; sceneggiatura: Jaffe Zinn; fotografia: Sean Kirby; montaggio: Andrew Dickler ; musica: Steve Damstra II, Mads Heldtberg; interpreti: Scott Glenn (Ed Halfner), Kyle Gallner (TJ Waggs), Alison Elliott (Martha Garabrant), Brad William Henke (Jerry Garabrant); produzione: Besito Films; distribuzione: Rezo; origine: U.S.A., 2011; durata: 80’