MAMMA MIA QUANTO PESI...
Dici Ring e compaiono nomi e volti di registi per cui l’eterno tempo delle mele rischia di diventare anche un amaro posto delle fragole a cui nessuno ha dato acqua. La generazione è giovane, stempiata e brizzolata, compostamente arrabbiata, chiara nell’esposizione e nel pensiero. Indipendente, per il valore relativo che questa parola, affascinante e antica, riveste nel cinema italiano come in quello di ogni mondo. Il Ring non danza intorno a un capolavoro, non ha un film manifesto, né uno maledetto. La sua esperienza è il racconto, orale e franco, della condizione del cinema italiano contemporaneo. La situazione che dolorosamente espongono gli indipendenti del Ring riguarda l’intero sistema nazionale, avviluppato attorno alle sue antiche e inestirpabili radici storiche, alle consuetudini economiche e sociali che lo legano ai suoi tempi. Alla “Casa del cinema” si affrontano con coraggio e onestà tutti i limiti e i problemi che un’idea nata per il cinema può incontrare sulla strada del rapporto con chi paga un biglietto, si siede e guarda. Perché anche la più indipendente delle intuizioni, se legata al cinema, deve fare i conti con un sacco di cose e di persone che trasformano l’indipendenza in collaborazione, compromesso e affare. L’esperienza/avventura che i cineasti del Ring raccontano inizia molto prima del set, ed è l’impatto con le correnti, i venti, i galeoni e tutte le specie faunistiche del grande acquario del cinema italiano. Dentro il comodo anello che ospita il Ring stanno attori, agenti, produttori e critici. Si guardano e si parlano, con una sincerità e una sicurezza che crescono col passare dei giorni e degli incontri. E’ questa l’importanza principale del Ring, il fatto di interpretare l’appuntamento come l’occasione di un maturo faccia a faccia tra addetti ai lavori. Il terzo appuntamento è stato dedicato alla commedia e, attraverso la presenza di quattro registi, si è continuato a fare luce e mettere i punti su alcuni aspetti del rapporto tra l’Italia di oggi e la commedia cinematografica. Interessanti, e anche divertenti, le considerazioni di Marcello Cesena, uno dei quattro registi presenti. La sua voce ricorda quella di un cartoon e il suo aspetto è una miscela di Jim Carrey e Jerry Lewis. Cesena si è mostrato sarcasticamente pentito di aver scelto la commedia. Ha sottolineato come l’inconscio collettivo nutra, per il genere in questione, una considerazione cronicamente minore rispetto al film “serio”. “Il rischio della serie B è sempre dietro l’angolo - ha aggiunto Cesena - e la commedia è un percorso pericolosissimo in cui basta un piccolo errore, un passo falso per essere irrimediabilmente fottuti. Se sbagli un film, magari impegnato, è possibile che ti capiti una seconda chance. Se sbagli una commedia è tutto più difficile”. Il regista di Mari del Sud ha poi ricordato come le commedie siano penalizzate nei festival, e come Cannes, ad esempio, non ne prenda in considerazione la validità da tantissimo tempo. E’ stata ribadita la dialettica tra commedia e grandi incassi, il rapporto tra prodotto brillante (e originale) e botteghino. Ciò allontana la commedia da quella famosa nicchia che, soprattutto nel caso di autori “indipendenti”, è spesso un territorio familiare, un terreno praticabile, l’habitat migliore. Ma in generale, ha ironizzato ancora Cesena, “quando un regista si rivolge a un produttore per proporgli una commedia, vede nei suoi occhi il simbolo dei dollari”. Le parole del regista sono state raccolte e approfondite da Anna Di Francisca, seconda testimone del terzo appuntamento e anche lei regista di commedie. L’autrice ha spiegato il paradosso italiano per cui a una pressante richiesta di commedie sofisticate (quelle che poi Cesena definiva di nicchia), corrisponda una propensione produttiva all’indirizzo classico e sicuro della commedia all’italiana. In questo modo, si continuano ad apprezzarne i risultati dei colleghi all’estero e si considera la commedia sofisticata una possibilità esclusa all’Italia: “Il Gusto degli altri , seppur citato e idolatrato, sembra possibile solo in Francia”. Manfredonia ha ben presente il ruolo sociale fortissimo che la commedia all’italiana ha rivestito per il nostro paese. E’stato il genere che è andato più in profondità e il fatto che poi sia stato sostituito dalla commedia cosiddetta d’evasione è stato il segno di un generale imbarbarimento culturale. Anche per questo, in Italia, gli anni ’60 sono ancora là, grandi e pesanti come un padre inarrivabile. Il Sorpasso è citato ad ogni incontro, ad ogni dibattito, eppure è un sorpasso impossibile. La commedia contemporanea, tranne Moretti, non ha ancora scelto se effettuarlo o rimanere in coda , in silenzio, copiando ogni curva.