RING ALLA CASA DEL CINEMA
Le immagini tornano ad essere protagoniste sotto forma di tre clip di 15 minuti l’una, tratte dai film Il sole negli occhi (Andrea Porporati), Quello che cerchi (Marco Puccioni) e E’ già ieri (Giulio Manfredonia). L’elemento originale di questa visione sta nel fatto che ognuna delle clip è stata montata da un altro regista. Una sorta di interpretazione per immagini del film. E fatto ancor più originale, la presa di coscienza di un autore di non essere più il “proprietario” esclusivo della propria opera.. Il sole negli occhi è stato sintetizzato e rimontato da Giulio Manfredonia. Il protagonista della pellicola era un giovanissimo e già bravo Fabrizio Gifuni e la storia riguardava un parricidio commesso senza un motivo apparente, senza un movente preciso. Il film puntava sulla malattia dei rapporti umani in ambito familiare e sui silenzi che ne dilatano le conseguenze. L’autore del ri-montaggio, Giulio Manfredonia, lo ha descritto come un film capace di un approccio molto interessante con la realtà della quotidianità, ma che dall’altra parte conserva nei suoi personaggi lo spessore di un grande romanzo. “Molto spesso - ha aggiunto Porporati - nel lavoro di sceneggiatore mi è stato chiesto di raccontare la violenza di genere, quella gratuita e in un certo modo rassicurante. La violenza dei film d’azione, per intenderci, priva di goffaggine e di elementi veramente turbanti. Per l’omicidio del mio film, invece, ho usato proprio questa goffaggine vera e dolorosa, ammorbidita, però, dalla pudicizia del campo lungo”. Porporati ha anche confessato di aver falsamente rassicurato i produttori che si sarebbe trattato di un Pulp, ossia quel genere così pieno di violenza finta, astratta e pornografica, meno difficile da vendere. Il racconto di questo piccolo aneddoto è servito non tanto per rilanciare la vecchia polemica tra autore e produttore quanto, come ha sottolineato Manfredonia, per dimostrare che in Italia la censura sia più attiva verso le forme che i contenuti. Quasi sempre ai registi viene chiesto di aderire incondizionatamente a degli schemi narrativi preconfezionati, mettendo sul piatto della bilancia il fatto che il “grande pubblico” è una sorta di minorenne che non deve essere mai messo alla prova. Ma il pubblico è davvero quello che si prefigurano produttori e distributori? E come già aveva esposto Puccioni a proposito della dicotomia tra commercio e autorialità, anche Porporati e Manfredonia hanno ribadito come accanto al cinema commerciale più basso, oggi esista un cinema d’autore esageratamente attento alla “politicità corretta” dei fatti raccontati e poco dedito, invece, ai passaggi psicologici, come se questi non facessero parte del realismo. La seconda testimonianza e il secondo spunto per dibattere, sono stati offerti dal film di Puccioni, Quello che cerchi, ridotto e rimontato da Andrea Porporati. Il film era composto da un’estetica ibrida, figlia di un grosso lavoro sul linguaggio filmico, di una libertà garantita dall’assenza di una produzione forte e giustificata da una componente inconscia che il film evidenzia molto chiaramente. Porporati ha sottolineato come il film del suo collega possegga una storia di sopra e una di sotto, i fatti da una parte e l’aspetto visionario o inconscio dall’altra: “Questo film, ottimamente sostenuto dal digitale, è significativo per la nostra generazione”. Puccioni ha ricordato come il suo primo lungometraggio sia nato fuori dal sistema e cresciuto attraverso i festival più off. Il ringraziamento doveroso è andato a Nanni Moretti che tenne in sala il film per cinque settimane. Una piccola e virtuosa anomalia distributiva che lo stesso Moretti intraprese con ironico scetticismo, ma che ebbe un discreto successo di pubblico. Infine, è stato il turno di Manfredonia con È già Ieri, la storia paradossale di un uomo, interpretato da Antonio Albanese, che resta intrappolato in una sorta di incantesimo: vivere all’infinito sempre lo stesso giorno. In questo eterno presente, si possono cambiare solo gli eventi di quel giorno e niente più. Ma ciò sarà sufficiente per trasformare il cinico e intrattabile personaggio in un uomo attento alla vita degli altri, di coloro che aveva sempre e ostentatamente ignorato. In questo caso, il lavoro di ri-montaggio e sintesi è toccato a Puccioni. Il film (produttivamente lontano dall’esperienza di Quello che cerchi) è il remake su commissione di una pellicola americana. Nonostante tutto, Manfredonia è riuscito a mantenere un’indipendenza di scrittura e di regia che ha reso questo film più libero e indipendente di tanti lavori italiani che, secondo quanto affermato dal regista, sono dei remake sommersi. Quello che il regista ha lamentato è stata la totale disattenzione della critica proprio sul discorso del remake. “Tutti si sono soffermati sul confronto tra i protagonisti, ossia Murray nella versione americana e Albanese in quella Italiana, e nessuno ha riflettuto sul profondo lavoro di riscrittura che ho operato. Se gli autori americani hanno insistito sul protagonista e sul riscatto che avviene in modo del tutto individuale, per parte mia mi sembrava interessante far crescere il personaggio attraverso il confronto con gli altri. In questo senso, tutta la trama del film sottende all’idea che un uomo può migliorarsi solo se sta dentro una collettività, se accetta di conoscere e amare il prossimo”. E a questo punto è stato toccato uno dei punti dolenti, quello del rapporto tra i film e la critica. La decadenza del cinema ha colpito anche e soprattutto i critici italiani, troppo legati al pezzo giornalistico e di “colore” e poco interessati a un confronto più serrato con le opere e con gli autori. Un discorso che indubbiamente sarà ripreso anche nei prossimi incontri. E che dunque rimandiamo solo di qualche puntata. Se il cinema contemporaneo italiano non deve aver paura di mettersi in mostra, neanche i critici debbono nascondersi e non assumersi le proprie responsabilità.