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SARA’ VERO?

Pubblicato il 18 agosto 2005 da Emanuela Visco


SARA' VERO?

Al secondo appuntamento di RING quattro i registi intervenuti, Gianfranco Pannone, Daniele Vicari, Franco Angeli e Vincenzo Marra, coinvolti in un dibattito certamente non nuovo. Si è parlato del cinema come registrazione del reale, come ricostruttore di realtà, del cinema come arte che inventa realtà possibili. L’incontro, dal titolo: Sarà vero? Dal documentario alla finzione, ha inoltre proposto una serie di proiezioni presentate dagli stessi registi che hanno poi commentato le loro scelte stilistiche e i loro punti di vista. Cercare di porre l’attenzione sul cinema come arte che insegue la realtà è sicuramente un tentativo pericoloso che rischia di scadere nella banalità se non lo si affronta proponendo soluzioni nuove che vadano a rispecchiarsi e a proporsi all’interno di certe dinamiche sociali. Mi riferisco al pensiero di un cinema neorealista che ha sentito il bisogno di inserirsi tra le piaghe di una società devastata come poteva essere quella del secondo dopoguerra o alla visione di un cinema che cerca di raccontare una società priva di aspettative come quella contemporanea. E’ certo, e il dibattito lo ha confermato, che sia il cinema internazionale che quello italiano nello specifico, hanno bisogno di raccontare storie più che di costruirle. Sarà che viviamo nell’epoca del reality show dove tutto deve apparire vero, sarà che certe realtà, al limite del visibile, non fanno altro che aumentare soprattutto tra le popolazioni extra comunitarie che vivono in Italia. Raccontare la realtà è un tema vecchio quanto il cinema dichiara Daniele Vicari affrettandosi a ricordare i grandi maestri del neorealismo italiano, dai quali non possiamo in alcun modo distaccarci. Sempre interessata al vero, seppur diversa, la visione di Franco Angeli che ha più volte ribadito la sua idea di cinema come strumento artistico che deve inventare, costruire, abbagliare il pubblico con storie vere o con storie che potrebbero esserlo, aggiungendo, inoltre, che è sufficiente pensare al montaggio, come alla selezione di certe riprese per far sfiorire ogni tentativo di ricostruzione della realtà. Angeli parla dei parametri estetici e temporali del cinema, quelli che necessariamente rendono ristretti i tempi della pellicola, le scene dichiara non possono avere la stessa distensione temporale che nella realtà. A proposito di questa diversità di punti di vista va forse sottolineato quanto la necessità di raccontare il vero o di fare film documentari provenga dalla tradizione e dalla soggettività del regista. Non è un caso forse che Vicari, Pannone e Marra convergano verso una stessa visione del reale. Nati e cresciuti in contesti periferici del sud d’Italia, sono stati capaci di verificare e disegnare le loro realtà, quelle che hanno attraversato la loro adolescenza. A una domanda del pubblico rivolta a Marra, su quando proverà a uscire dal contesto napoletano, il regista ha risposto dimostrando e difendendo la teoria per cui una realtà provinciale non deve necessariamente distaccarsi dal suo contesto e che la provincialità dei suoi racconti si riflette sicuramente in tante altre verità del mondo, rivendicando con orgoglio la presenza dei suoi lavori in svariati festival internazionali. A questo punto il dibattito sembra chiudersi in un vicolo cieco, scontrandosi contro problemi filosofici per cui la realtà come concetto assoluto non ha senso d’esistere nel momento in cui si tenta di rappresentarla. Capite le differenti forme di realtà e il perché moltissimi giovani registi italiani si ritrovano a battere percorsi che fanno parte di certa tradizione cinematografica, resterebbe da domandarsi: cos’è questa realtà che ognuno dipinge alla propria maniera? La realtà non dovrebbe essere un concetto assoluto? Sembrerebbe quasi che magicamente al cinema tutto diventi relativo. E’ il vecchio problema filosofico che risale alle origini del cinema, la disputa intorno al carattere essenzialmente narrativo oppure essenzialmente documentario del cinema. Senza rivendicare alcun primato del cinema mimetico rispetto a quello diegetico basterebbe rompere lo schema del giudizio e del confronto che naturalmente potrebbe nascere all’interno di uno stesso concetto quale quello del cinema di verità. E’ il cinema che racconta, è il cinema che inventa, il cinema che insegue, siamo semplicemente di fronte a tre realtà facenti parti di una stessa verità. Sembra di leggere Gramsci quando dichiara che la cultura [...] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.


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