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Marigold Hotel

Pubblicato il 30 marzo 2012 da Sofia Bonicalzi
VOTO:


Marigold Hotel

Nell’ormai classico Passaggio in India, la giovane Adela, sopraffatta dalla maestà di un mondo sconosciuto – capace in un sol colpo di annientare le certezze borgesi in cui da sempre si cullava – si perdeva nei meandri della propria immaginazione, costruendo attorno a sé una ragnatela di nevrosi, paure e desideri inconsci.
L’India, la tigre domata capace di trasformarsi in nemesi del proprio impomatato oppressore, fino a schiacciarlo con colori, suoni e odori inediti era il cuore pulsante del capolavoro coloniale di E.M. Forster (1924), portato sullo schermo da David Lean nel 1984.
Archiviate le vestigia imperiali, la Gran Bretagna non rinuncia a tornare sul luogo del delitto, offrendone però una riproduzione stinta e stereotipata, nell’ultima opera di John Madden. Prendete un manipolo di solidi attori inglesi dall’allure teatrale e trasferiteli nell’esotica pensione del goffo Sonny, che sogna di riportare il palazzo paterno agli splendori del tempo che fu, trasformandolo in un ospizio di lusso.
Ecco Marigold Hotel, classica commedia all’inglese giocata sugli scambi e sugli screzi di un gruppo ristretto di individui, costretti dalla sorte a condividere il medesimo spazio vitale. Sullo sfondo fioccano – ma l’amalgama convince poco – temi e toni che l’inglese medio è solito associare all’India: caos e traffico nelle ore di punta, tramonti mozzafiato sul Gange, amori fra individui provenienti da caste differenti, matrimoni combinati e nuove giovinezze che si schiudono sotto il sole cocente. Pare che L’India da esportazione abbia ormai il volto di Dev Patel, protagonista del pluripremiato The Millionaire e qui manager tuttofare del glorioso Marigold Hotel.
Come prevedibile, la scintilla che dovrebbe far scattare gli spunti comici è legata al rapporto di attrazione-repulsione che da subito si instaura fra i ruderi isterici in arrivo dalla vecchia Europa e la polverosa vitalità delle giornate indiane. Peccato che brio e senso dell’umorismo latitino in una sceneggiatura soggiogata dai suoi stessi protagonisti, impegnati a rubarsi la scena in una serie di siparietti esotici. Come ci racconta il montaggio alternato dell’incipit, diverse sono le ragioni che spingono una serie di rispettabili inglesi ad abbandonare la nebbia di Londra per trascorrere gli ultimi anni dall’altra parte del globo. Chi, sommerso dai debiti, non ha più una casa e chi va in cerca di avventure amorose. Chi vorrebbe mettere ordine nel proprio passato e chi si trova a fare i conti con un presente accidentato. E chi, come la vecchia domestica Maggie Smith, si ritrova con un femore rotto, un pessimo carattere e uno spiccato senso degli affari. Imbastito il pretesto narrativo e costruita l’ambientazione, fra tocchi di paternalismo ed evoluzioni impreviste, la storia gira attorno a drammi e gioie di una serie di individui che, immancabilmente, scoprono una parte di se stessi che credevano ormai sepolta, sbocciando di nuovo alla vita. In parallelo scorre la vicenda di Sonny - tormentato da una madre invadente e innamorato della bella telefonista Sunaina - che cerca di fare quadrare i conti dell’albergo, destreggiandosi fra fornitori e finanziatori avari.
A favore della buona riuscita di Marigold Hotel non depone certo la durata, che poco si addice a una commedia della vita dove nulla o quasi accade e le riflessioni sul tempo che scorre, l’età che incalza e la fiducia mal risposta intervallano in modo disordinato i percorsi dei viaggiatori improvvisati. Poi, come in una sorta di Quattro matrimoni e un funerale per la terza età, arriva l’immancabile nota tragica, accompagnata da una folata di notazioni stantie, lacrime e fughe improvvise. La ricomposizione finale, che spariglierà le carte, mescolando le coppie con shakespeariana preveggenza, arriverà – immancabile - per tutti (o quasi).


CAST & CREDITS

(The Best Exotic Marigold Hotel); Regia: John Madden; sceneggiatura: Ol Parker; fotografia:; montaggio: Chris Gill; musica: Thomas Newman; interpreti: Maggie Smith (Muriel), Bill Nighy (Douglas), Judy Dench (Evelyn), Dev Patel (Sonny), Tom Wilkinson (Graham), Penelope Wilton (Jean), Celia Imrie (Madge), Ronald Pickup (Norman), Tina Desae (Sunaina); produzione: Graham Broadbent, Peter Czernin; distribuzione: Fox Searchlight Pictures; origine: United Kingdom, 2011; durata:124’.


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