Marley: A Redemption doc

Si dice Bob Marley e l’icona si confonde con l’uomo. Dopo tante voci, idealizzazioni, poster e gadget, Kevin Macdonald ha scavato a fondo, ha scorticato la patina del mito, si è fatto luce tra i rasta, gli spinelli e le fronde di giungle jamaicane che da sempre oscurano l’artista. E’ nato, così, il documentario che restituisce il ricordo naturale dell’uomo Bob Marley, nella sua semplicità magnetica, nella sua immagine, quanto più vicina alla realtà. A questo scopo, il regista si è avvicinato molto agli amici e alla famiglia Marley, in particolare alla moglie Rita e a Cedella e Ziggy Marley, due degli undici figli che Bob ha avuto da relazioni diverse. Ne è risultato un ritratto commovente, dolce e vicino all’universo jamaicano che più di tutti rappresenta il senso della musica di Bob Marley. Sentendo le parole di chi lo ha conosciuto, di tutti quelli che gli sono stati accanto, si ha davvero la sensazione di sentir parlare Marley, per quello che era: una star simile a tante, amante della musica, delle donne, con un’infanzia difficile, un carisma dirompente, un talento. Man mano che la ricostruzione avanza, invece, si scopre quella differenza che lo ha elevato da star a icona: la fede. Quello su cui tutti gli intervistati sono d’accordo, quello che tutti hanno avvertito, prima ancora della sua musica, è la spiritualità di Bob Marley. La semplice e potentissima dedizione a una filosofia di vita, il rastafarianesimo, che crede nell’amore, nella pace, nell’indipendenza, nel rispetto della propria individualità e delle proprie origini. Certamente un messaggio universale che arriva a tutti ma non per il suo contenuto, comunque condivisibile, verrebbe quasi da dire ovvio, ma per la forza che Marley ha dato a quel contenuto. Forza che derivava dal suo crederci davvero. Del resto, nulla più della sua musica, il reggae, può spiegare la filosofia di vita di Bob Marley. Uno stile musicale giamaicano che ha fuso lo ska, alle variazioni del rocksteady per creare un ritmo sinuoso, solare, ballabile, semplice e quindi poetico, come un messaggio di pace. Nella musica reggae il basso riemerge da una posizione solitamente secondaria nella musica, per diventare predominante. Facile metafora, questa, di tutti gli oppressi e del riscatto che meritano e avranno. Una storia che i neri d’Africa, e lo stesso Marley, conoscono bene. Per questo la musica reggae diventa una missione, per Bob, un veicolo per diffondere la parola di Jah, Dio, e dei Rastafari. Il documentario ha dei tempi morbidi, adattati appunto alla musica che racconta, si compone di immagini, ritratti e sguardi intensi che raccontano più di altri la spiritualità di un popolo che si sente rappresentato da un uomo. Come in ogni ritratto che si rispetti poi, Kevin Macdonald non risparmia di raccontare i chiaroscuri, le ombre di un uomo radicale in tutto ciò che faceva, predominante nel rapporto con le donne, severo e quasi distante nel rapporto con i figli; un uomo rigoroso nello stile di una vita aperta a chiunque ma non senza regole. Un uomo comunque libero, di una libertà tanto violenta da fare anche male a chi lo circondava. Ma niente, sembrerebbe, era fatto senza amore, passione. La musica reggae ha lo stesso ritmo dei battiti del cuore e quindi è la vita stessa si muove a ritmo reggae, non può esserci una scissione. Un tributo, dunque, intelligente quello di Macdonald a Marley. Il racconto di un passione che rende gli uomini speciali e probabilmente anche migliori dell’icona. Tutto questo è Marley, il documentario di redenzione dell’artista sul mito.
Marley ) Regia :Kevin Macdonald; Sceneggiatura :; Fotografia :Alvin Kuchler, Mike Eley; Montaggio :Dan Glendenning; Musica :; Interpreti :; Produzione :Steve Bing, Charles Steel; Distribuzione :Lucky Red; Origine :; Durata :140’;
