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MATER NATURA

Pubblicato il 21 aprile 2006 da Alessia Spagnoli


MATER NATURA

Prima del delizioso Transamerica c’era già una pellicola italiana a "cantare" la storia di un trans e a mietere consensi nei festival di mezz’Europa.
Trampolino di lancio per il successo internazionale di Mater Natura è stata la vittoria alla Settimana della Critica durante l’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Colorato, pirotecnico, vivacissimo, l’opera del regista napoletano Massimo Andrei è in bilico tra una sgargiante commedia all’italiana in forma di musical ("ritoccata" attraverso l’innesto di tematiche inedite per i film degli anni ’60 e ’70) e una sorta di almodramma (espressione coniata per isolare il particolarissimo melodramma "alla Almodovar"). E del resto già il pittoresco nome della protagonista, Desiderio, sembra generato da una extra-ordinaria filiazione tra una Gradisca felliniana e un Agrado almodovoriano. Altrettanto bizzarri i nomi degli altri personaggi: Europa (scelta questa, quasi bellocchiana) e Sue Ellen (un omaggio alla cultura popolare anni ’80, con la riproposizione del nome della protagonista della celebre soap-opera Dallas).
Probabilmente è proprio nella seconda parte, quella in cui le intense vicende personali dei protagonisti vengono attraversate da uno sguardo più caldo e partecipe al dramma di ciascuno, che il film offre i suoi momenti migliori e più densi. Anticipando un altro successone dell’anno sul tema della diversità sessuale, il western gay Brokeback Mountain (stavolta sotto il profilo tematico), anche in Mater Natura la tragedia scaturisce dall’impossibilità di vivere un sentimento forte e autentico a causa del veto imposto dalla società medievale del 21° secolo, che impone costumi più morigerati e "tradizionali".
Assolutamente originale e azzeccata - per la proliferazione semantica che una tale ambientazione regala alla pellicola - la cornice napoletana: i più difatti sarebbero portati a pensare che la città partenopea dovrebbe riversare un’accoglienza ben più calda ai suoi figli non allineati, ma Andrei distrugge questa ingenua e "naturale" illusione senza dover calcare troppo la mano. E in ciò risiede senza dubbio uno dei meriti della pellicola. Altrettanto felice anche se a prima vista improbabile la collocazione del rifugio scelto per il gruppo di personaggi alternativi: un centro di agricoltura biologica (da cui il nome della pellicola) in cui assaporare in assoluta libertà i doni della natura e fregarsene bellamente dei pregiudizi della massa.
Se il cinema italiano, all’ombra della cupola vaticana, ha in genere preferito glissare su simili argomenti, quello napoletano (Pappi Corsicato in testa) alle falde del Vesuvio (immagine potente di grande fascino naturale e, insieme, fonte di distruzione e morte) ha invece spesso illuminato e fatto proprio il tema della diversità facendo largo ricorso a simbologie ed allegorie. "Il film nasce dal desiderio di raccontare quanto siano sofferte le omologazioni nel mondo contemporaneo. Ed è proprio per questo che ho utilizzato l’iconografia transgener, in maniera del tutto simbolica. Come rappresentazione, cioè, di tutti i "diversi" che hanno difficoltà a farsi accettare". Questa breve dichiarazione del regista Massimo Andrei illumina meglio di qualsiasi ulteriore considerazione il senso profondo della sua opera.

Regia: Massimo Andrei; soggetto: Massimo Andrei e Umberto Massa; sceneggiatura: Massimo Andrei e Silvia Ranfagni; fotografia: Vladan Radovic; montaggio: Shara Spinella; musica: Lino Cannavacciulo; scenografie: Luca Servino, Carlo De Marino costumi: Giovanni Addante; interpreti: Maria Pia Calzone (Desiderio), Vladimir Luxuria (Massimino), Enzo Moscato (Europa), Valerio Foglia Manzillo (Andrea); produzione: Umberto Massa per Kubla Khan; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia 2005; durata: 93’; web info: sito ufficiale

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