MEMORIE DI UNA GEISHA

Nel 1997 il libro Memoirs of a Geisha, di Arthur Golden, diventa uno dei best-seller di punta nella lista del New York Times. Oggi, com’è ormai consuetudine, ecco una trasposizione cinematografica dal titolo omonimo: Memoirs of a Geisha. Dirige il dispendioso adattamento Rob Marshall (già regista di Chicago), alla sua seconda regia cinematografica, dopo una copiosa carriera a Broadway nel campo del musical. L’ambientazione storica del film coincide con l’inizio della fine per la cultura delle Geishe: nel periodo, cioè, che va dagli anni ’30 sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Proprio la Guerra, e la successiva occidentalizzazione delle forme avvenuta con l’”invasione” americana del Giappone, segnano la fine di un’arte antica e rispettata, protetta da quella segretezza che solo una casta possiede. Sayuri, la Geisha del titolo, incarna ed esprime la sua tristezza per la fine di un’epoca: “Quelli che erano i nostri segreti” sospira nel film, “non esistono più. Sono diventati cartoline da inviare alle fidanzate lontane...”. Ad una prima visione, il mondo dell’Hanamachi (il quartiere di una città dove vivono le Geishe) risulta patinato, quasi finto, ricoperto da un sottile strato di occidentalizzazione proprio di una grande produzione americana. La colpa, o forse il merito (dipende dai punti di vista), è di Marshall: provenendo da un mondo in cui realtà e fantasia si mescolano per ricreare i musical, il regista declina l’invito alla ri-creazione pedissequa della realtà giapponese, a favore di una fantasia fanciullesca e di una teatralità ben nascosta ma sempre pronta a colpire. L’idea di Marshall è quella di strutturare il film come se fosse una somma di ricordi (memoirs) della bella Sayuri, catapultata, a soli 9 anni, dal suo piccolo villaggio di pescatori, al quartiere delle Geishe di Kyoto. Per questo le immagini assumono un carattere quasi fiabesco. Marshall non ci racconta l’Hanamachi degli anni ’30, lo lascia raccontare alla protagonista. Indubbiamente nel film si ritrova una forte componente americana, infatti Marshall e i suoi collaboratori si prendono delle libertà, ma la storia rimane lì, sempre pronta ad ancorare lo spettatore al film. Storia che è, forse, il vero punto debole della pellicola: per quanto il libro possa essere bello, il regista non sa gestire le storie d’amore (o forse decide volontariamente di non curarsene troppo), preferendo dedicarsi alla coreografia delle immagini, spesso vere e proprie fotografie d’autore. La scelta di raccontare il Giappone e le sue Geishe, attraverso un’ottica Americana (lo scrittore del romanzo, il regista e la produzione sono Americani) e con l’ausilio di attrici cinesi (per i tre ruoli principali sono state scelte Ziyi Zhang, Gong Li e Michelle Yeoh), ha fatto storcere il naso a più di un nipponico. Il regista è stato accusato di aver aggirato un profondo problema culturale: una cinese (così come un americano) non può comprendere ed esporre al meglio una cultura complicata come quella giapponese, ed un aspetto di questa cultura (le Geishe), troppo spesso travisato dagli occidentali. A quelli che lo accusano, il regista, ha laconicamente risposto che la Zhang “è semplicemente la persona giusta per questo ruolo.” Decisamente poco come risposta...
[dicembre 2005]
Regia: Rob Marshall; Sceneggiatura: Arthur Golden (Romanzo), Robin Swicord, Doug Wright; Musica:John Williams; Fotografia: Dion Beebe; Montaggio: Pietro Scalia; Interpreti: Ziyi Zhang (Sayuri), Gong Li (Hatsumomo), Michelle Yeoh (Mameha), Ken Watanabe (Direttore Generale), Suzuka Ohgo (Chiyo), Youki Koudo (Zucca), Cary-Hiroyuki Tagawa (Il Barone); Produzione: Steven Spielberg per Dreamworks SKG; Distribuzione: Sony Pictures Entertainment; Origine: Usa, 2005
