Venezia 77 - Mila
Mila potrebbe apparire come un film profetico, visto che il plot verte su una pandemia, le cui vittime subiscono una cancellazione della memoria e della personalità; in verità questa volta non c’è nessuna allusione al nostro presente storico, ma si analizza qualcosa di socialmente molto più complesso.
Il film è stato infatti scritto dal regista Christos Nikou molto tempo indietro rispetto alla sua uscita, e costituirebbe il risultato di un periodo molto duro della sua esistenza, durante il cui, la gestazione del lavoro avrebbe assorbito molte delle sue riflessioni sul mondo contemporaneo e su una nuova concezione dell’immagine, che invece di dare vita la sottrarrebbe a causa della mania voyeristica di dover immortalare tutto ciò che capiti a tiro.
Il protagonista del film Aris, interpretato da un notevole Aris Servetalis, attore greco dallo stile misurato e intenso, perde la memoria e si ritrova su un autobus senza documenti o tracce della sua vita, viene così ricoverato e sottoposto a una cura “sperimentale” che potrebbe sembrare più una riscrittura di un personaggio pirandelliano.
Infatti l’iter medico prevede un programma di azioni di riavvicinamento sociale da compiere, che costruiscano una nuova personalità del paziente, costretto poi ogni volta ad immortalare le prove con una polaroid. In una delle tante prove a cui è sottoposto incontra al cinema Anna, (Sofia Georgovassili) anche lei soggetta al trattamento sperimentale e che involontariamente lo spinge a ripensare alla sua vita dimenticata.
Simbolo imperante del film, sono le mele, che hanno un’inevitabile e scontata allusione al peccato originale e alla contaminazione, in questo caso il frutto farebbe perdere non la purezza, ma la memoria, oramai sempre meno sfruttata nell’elaborazione visiva e nella creazione del pensiero e sostituita da un’ossessiva e fagocitante presenza dell’immagine, non più intesa come mezzo di espressione dell’esistenza attraverso l’arte, ma di mero strumento di consumo.
In questo processo consumistico la “polaroid” è emblema di un voler catturare una vita ricreandola da zero: qui il regista potrebbe aver espresso, non chiaramente, il proprio dissenso nell’uso smodato dell’immagine senza essere contestualizzata.
Infatti la ripetitività dell’immagine di una società che ne abusa, attraverso una quantità infinita di social media, sottrae significato alla vita stessa, azzerandone le vere esperienze.
Molti degli esseri umani “alienati” non accorgendosene, potrebbero, forse, provare la stessa sensazione di vuoto, che il regista greco riesce a ricreare attraverso il racconto di Aries, il quale in verità, alla fine, è combattuto nella scelta tra un passato doloroso, un presente sicuro o un futuro incerto.
Aries sceglie un passato doloroso, accettando di viverlo nei ricordi.
Il film si chiude con un inquadratura molto significativa sul viso del protagonista, che ancora una volta è entusiasta di mangiare mele, cercando di aiutarsi così a recuperare un sé nebbioso ma concreto.
Vista la non marcata evidenza del pensiero autoriale, si lascia spazio a piu interpretazioni, che però non potranno mai sostituire il punto fermo dell’intero film: la non accettazione dell’assuefazione a canoni estetici devianti.
(Mele) Regia: Christos Nikou ; sceneggiatura: Christos Nikou; fotografia: Bartosz Swiniarski; montaggio: Giorgos Zafeiris; musica: Alexander Vulgaris; interpreti: (Aris Servetalis), (Sofia Georgovassili), (Anna Kalaitzidou); produzione: Boo Productions; origine: Grecia, Polonia e Slovenia; durata: 90’