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Milano Palermo - Il ritorno

Pubblicato il 26 novembre 2007 da Alessandro Izzi


Milano Palermo - Il ritorno

L’estetica televisiva domina ormai, in maniera tristemente definitiva, il nostro cinema più recente.
Non solo quello di genere (categoria cui, in fondo, appartiene anche questo Milano Palermo – Il ritorno), ma anche quello più propriamente d’autore, quello che dovrebbe avere ambizioni di un certo livello e che dovrebbe, se non altro, puntare ad una dimensione “esportabile”. Perché il Cinema anche quando è massima espressione di genio resta pur sempre anche “merce” che va venduta, consegnata ad un pubblico che paga il prezzo di un biglietto per usufruire di un certo tipo di “servizio”.
Il fatto che tanto le fiction televisive quanto le opere che vengono poi presentate ai vari Festival di Venezia come saggi di cosa è in grado di produrre la nostra industria culturale risultino appiattite su uno stesso modello estetico dovrebbe farci riflettere su due realtà che si rincorrono tra loro come un cane che cerca goffamente di mordere la propria coda.
La prima è che per i produttori, per coloro, cioè, che mettono di propria tasca i soldi per la realizzazione dei film, il pubblico è diventato una realtà quasi del tutto indifferenziata, una massa amorfa pronta a bere qualsiasi cosa le si propini. Non c’è, quindi, reale differenza tra la persona che si reca nella sala cinematografica e quella che resta, invece, comodamente a casa sua, in poltrona, a fare zapping tra le varie reti televisive. Entrambi sono ricettori sempre più passivi di un processo di comunicazione definitivamente mercificato.
La seconda è che la sala stessa, il luogo deputato alla proiezione del film su pellicola, ha ormai perso, per lo spettatore contemporaneo, la sua aura mitica. Il cinema non è più il luogo di ritrovo dell’intera famiglia in fuga dalle brutture del mondo contemporaneo, non è il luogo romantico, annebbiato dal fumo delle troppe sigarette accese, dove si portava la ragazza cui cingere le spalle nei momenti deputati. Al contrario, quando non assume la dimensione di un supermercato dei film come avviene nei multisala, il cinema sembra sempre più un’elefantiaca realtà destinata all’estinzione, alla morte per suo stesso, lento esaurimento.
E allora che senso ha, per gli autori, cercare un linguaggio che sappia proporsi davvero come alternativa a quello televisivo dal momento che per il cinema più vero viene gradualmente a mancare non solo il destinatario, ma anche il mezzo (il grande schermo) attraverso cui esprimere una propria visione del mondo? Che senso ha affannarsi per un pubblico che sempre meno compra i biglietti del cinema e sempre più accende i tanti piccoli schermi che mabusianamente occupano ogni stanza della casa? Domanda di non poco conto, questa, soprattutto in considerazione del fatto che il film di cinema, una volta esaurita la sua brevissima vita sui cartelloni delle sale è poi, comunque, destinato allo sfruttamento televisivo, alle prime e poi alle seconde serate della programmazione dei vari palinsesti.
Milano Palermo – Il ritorno, nonostante il suo titolo, sembra segnare un punto di non ritorno in questo processo di televisivizzazione del linguaggio e dello “smercio” dell’opera cinematografica. Il che è anche un paradosso dal momento che questa pellicola è destinata ad un successo di botteghino non indifferente soprattutto nelle province più a sud della nostra ridente penisola.
La grande beffarda ironia che sta alla base dell’ultima fatica di Fragasso risiede, quindi, in questo snodo irrisolto: proprio nel momento in cui rilancia le sorti commerciali del nostro cinema ne sancisce, di fatto, la "morte" dal punto di vista estetico autorelegandosi, com fa, ad un discorso che è assolutamente derivativo rispetto al linguaggio delle varie fiction televisive.
Fragasso, e qui sta in fondo la sua onestà di artigiano, non ci prova neppure a fare un film vero. Il suo lavoro si riduce alla confezione di un prodotto televisivo che solo per caso si avvarrà, in fase distributiva, di un passaggio (redditizio) sui grandi schermi.
La differenza sostanziale tra Milano Palermo – Il ritorno e un qualsiasi analogo prodotto televisivo è, quindi, tutta nelle “dimensioni”. La grandezza è la reale ossessione del regista, il gioco di un accumulo indifferenziato di elementi che si accavallano e si sostengono reciprocamente nel timore panico di quel vuoto contenutistico che ovunque impera. A contare, quindi, è solo il ritmo di una narrazione che si vuole come successione incontrollata ed incontrollabile di sparatorie, di agguati, di pedinamenti pompati dalla musica depalmiana del grande Donaggio. Un ritmo che alla lunga si fa estenuante nel suo limitarsi a rilanciare l’azione in avanti come il gioco di un attaccante che sembra non voler mai puntare per davvero alla porta della squadra avversaria. Tutto il primo tempo della pellicola è esemplare di questo andamento dove tutto sembra accadere senza che nulla di veramente risolutivo accada per davvero. Fin qui l’intero film è un lubrificato meccanismo di produzione di tensione narrativa. In questo quadro di pura costruzione dell’azione i personaggi rinunciano ad ogni dimensione umana e si impongono allo spettatore come “figure” come meri “attanti” di un intreccio che, lo capiamo fin dalle primissime inquadrature, è destinato all’abbraccio finale tra il personaggio interpretato da Raoul Bova e il bambino che, alla fine, accetta di chiamarlo papà. E anche la scena finale con il boss che muore sotto lo sguardo muto e giudicante del coro di lavoratori siciliani giunti sul luogo della resa dei conti, pur se a suo modo bella, è fuori contesto in un film per cui la Mafia era stata, fino a quel momento, solo il motore dello spettacolo e del divertimento.
Rispetto alle varie fiction televisive Milano Palermo – Il ritorno, che resta un prodotto di curata confezione, risulta fallimentare solo perché porta un po’ troppo all’estremo questo meccanismo di affastellamento indifferenziato di sparatorie ed esplosioni. E se quando tacciono le pistole a parlare sono solo le lacrime dei superstiti che si lamentano, con eccesso di enfasi melodrammatica, del loro fato avverso, c’è poco di che stare allegri…
La grande assente in Milano Palermo – Il ritorno sembra, per questo, essere proprio quell’ironia che spesso risolleva le sorti di analoghi prodotti americani. O forse a mancare sono solamente quelle interruzioni pubblicitarie nelle quali è permesso al pubblico di pensare, per buoni quindici minuti, a tutt’altro.


CAST & CREDITS

(Milano Palermo - Il ritorno); Regia: Claudio Fragasso; sceneggiatura: Rossella Drudi; fotografia: Giovanni Mammolotti; musica: Pino Donaggio; interpreti: Giancarlo Giannini (Turi Arcangelo Leofonte), Raoul Bova (Nino Di Venanzio), Ricky Memphis (Remo Matteotti), Simone Corrente (Giorgio Ceccarelli), Romina Mondello (Chiara Vinci), Gabriella Pession (Elda Fiore), Libero De Rienzo (Libero Proietti), Enrico Lo Verso (Rocco Scalia); produzione: SanMarco, Globe Films; origine: Italia, 2007; durata: 95’


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