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Mort à Sarajevo (Concorso)

Pubblicato il 16 febbraio 2016 da Matteo Galli

VOTO:

Mort à Sarajevo (Concorso)

Grand Sarajevo Hotel si potrebbe dire variando Wes Anderson, che proprio qui a Berlino aprì il festival nel 2014. E fu in quello stesso 2014 che Denis Tanović presentò l’assai originale An Episode in the Life of an Iron Picker capace di portare a casa due Orsi d’Argento. Tutto il film in concorso oggi a Berlino (coproduzione franco-bosniaca) si svolge infatti all’interno dell’Hotel Europa di Sarajewo. Il nome dell’hotel è al contempo il titolo della pièce teatrale scritta dall’ex nouveau philosophe Bernard-Henry Lévy - sempre, va pur detto, in splendida forma - che ha collaborato con Tanović alla sceneggiatura. Della pièce di Lévy in realtà è rimasta da un lato la figura del politico francese che, nella stanza dell’albergo, ripassa e reinventa il discorso che terrà in occasione del centesimo anniversario dell’assassinio di Sarajevo (e, sorta di mise en abyme, lo spettacolo al teatro di Sarajevo, che verso la fine del film si vede in diretta televisiva), e dall’altro, appunto, l’anniversario dell’attentato, che dovrebbe vedere riunita in una cena di galà una serie di politici dell’Unione Europea, ospiti appunto dell’albergo. Un hotel che, bisogna pur dirlo, ha vissuto tempi assai migliori. Malgrado il manager rievochi l’aurea aetas delle Olimpiadi invernali del 1984, malgrado snoccioli come un rosario tutti gli ospiti famosi che hanno pernottato all’Hotel Europe – dagli U2 a Bill Clinton fino ad Angelina Jolie– adesso l’albergo è in crisi nera: indebitamenti, ipoteche, bollette non pagate, il personale che non riceve lo stipendio da due mesi e che adesso, proprio adesso, confidando sulla vasta eco di un’azione di protesta al cospetto della UE, ha deciso di scioperare e di far saltare il grande appuntamento, dopo mesi in cui l’albergo sembrava assomigliare più a un altro albergo famoso, l’Overlook Hotel, abitato solo da fantasmi. Intorno alla questione dello sciopero da porre in atto/da scongiurare si addensano numerose vicende del film: il manager che vuole fare di tutto per evitarlo, la maestranze sempre più arrabbiate e sempre più convinte a non cedere, l’elegante capo receptionist che cerca di mediare, anche perché a capo degli scioperanti si è posta niente meno che sua madre che lavora nel piano interrato, in lavanderia. Come in tutti i film ambientati negli hotel (a cominciare da Grand Hotel di Edmund Golding con Greta Garbo e John Barrymore), anche nel film di Tanović impera la molteplicità dei luoghi, dei livelli, dei personaggi e delle storie: il politico/attore che fa le prove nella suite olimpica al quinto piano, gli scioperanti, la vigilanza, il manager etc. con continui intrecci di storie (anche non necessariamente aventi a che fare con quella principale), un montaggio serratissimo, una continua alternanza di locations diverse, di steady cam e riprese con camera fissa, con un ritmo incalzante e convincente, nonché il frequente ricorso alle immagini sgranate della CCTV che marca il tempo reale in cui la vicenda si svolge. La topografia, come sempre simbolica, dell’hotel prevede un altro livello oltre a quelli già menzionati: nell’underground dell’albergo è collocata una bisca clandestina con slot machine e locale a luci rosse, gestito da un losco soggetto che risponde al nome di Enzo (chissà mai da dove verrà?) e che, lo si capisce chiaramente, è l’unico in grado di tenere artificiosamente in vita l’albergo e il suo sordido e patetico manager, che a lui si rivolge ogni volta che c’è da propinare qualche bell’avvertimento e conciare per le feste i rivoltosi, ricorrendo a metodi non proprio ortodossi. Questa rete di relazioni e personaggi tutti appartenenti alla dimensione squisitamente “fictional“ del film viene interpolata da una dimensione che, pur altrettanto fictional, è altresì riconducibile a una sfera documentaria: in attesa del grande evento una giornalista televisiva intervista vari personaggi: storici, storici dell’architettura (che queste professioni le esercitano nella vita vera, tutti amici di Tanović), testimoni interrogati sul significato dell’anniversario del 1914, cento anni dopo, sul ruolo di Gavrilo Princip - eroe? martire? giovane sprovveduto? – e dei tanti e diversi memorial a lui dedicati (e poi distrutti) nell’ultimo secolo, sulla controversa storia dei paesi balcanici, e che lasciano affiorare un intrico pressoché irresolubile di odi, rivalità e risentimenti fra le etnie e le generazioni. A un certo punto le due dimensioni – finzione e pseudo-documento - si intrecciano dando vita a un involontario, quasi casuale rovesciamento dell’attentato del giugno del 1914. Siamo in presenza di un film di alta qualità, con pochissime cadute di sceneggiatura, storie tutte molto solide (talune anche divertenti), cosa rara in un film multicentrico come questo. Viene spontaneo chiedersi, al di là dell’ottima fotografia e della compatta sceneggiatura dove voglia arrivare a parare il regista sul piano ideologico, a vent’anni dalla guerra in Jugoslavia. L’impressione è che Tanović non nutra grandissime speranze sul rilancio del proprio paese, sul piano economico, ma soprattutto su quello ideologico, a meno che alla infinita diatriba sulla Storia contenuta soprattutto nella parte documentaria non venga finalmente posta fine e il proprio paese, e gli altri paesi della ex Jugoslavia non imparino davvero a pensare al futuro.


CAST & CREDITS

(Smrt u Sarajevu); Regia e sceneggiatura: Danis Tanovic; fotografia: Erol Zubcevic; montaggio: Redzinald Simek; musica: Mirza Tahirović; interpreti: Jacques Weber, Izudin Bajrović, Snežana Vidović, Vedrana Seksan, Muhamed Hadžović, Faketa Salihbegović-Avdagić; produzione: Margo films, SCCA/PRO.BA - Sarajevo Center for Contemporary Art, France 3 Cinéma; origine: Francia, Bosnia Herzegovina, 2016


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