Mostri contro alieni

Mostri contro alieni deve al cinema di Ishiro Honda tutto quel che salta agli occhi. In un film dove sono gli occhi a saltare da tutte le parti (dal quadrocolo alieno in forma di seppia al monocolo B.O.B. che usa il suo bulbo come una pallina da tennis da far rimbalzare sul muro) è come dire che gli deve tutto.
Ad essere saccheggiati non sono, comunque, solo situazioni e idee narrative (lo scontro tra opposte fazioni mostruose mentre l’umanità sta a guardare in attesa di essere salvata è la figura archetipale di tutto il cinema tragico e pessimista di Honda). La furfanteria dimostrata dai due registi nella realizzazione di questo prodotto pensato per la sala e solo per la sala (con tanto di occhialetti 3d che certo non ti trovi ancora nel tuo già fornitissimo home theatre) sta tutta nel furto sin troppo dichiarato di un modo di concepire il fantastico. Una concezione di cinema, quella di cui stiamo parlando, fondata sull’accumulo di elementi fantasiosi, sul moltiplicarsi di creature e di mostri che si affannano, nel paradossale groviglio di una narrazione basilare, a portare a compimento battaglie all’ultimo sangue. La via del fantastico giapponese degli anni ’50 (quello sorto a ridosso della paura dell’atomica) era quella di un barocco incongruo che faceva urtare miti dell’immaginario in una convivenza forzata ad alto tasso spettacolare. Godzilla contro King Kong, Atom contro Rodan, Kong contro gli extraterrestri: mostri contro alieni, appunto!
Tale linea poggiava su una concezione molto giapponese della dicotomia degli opposti che son sempre destinati a scontrarsi. Non uno scontro tra Bene e Male, sia ben chiaro, ma tra forze titaniche che si contendono il dominio della Terra. Gli uomini poco più che testimoni dello scontro con le loro armi di colpo ridicole contro i mostri preistorici risvegliati dalle radiazioni.
In Mostri contro alieni Insettosauro è proprio questo. Non un omaggio fantastico alla grandiosità di Godzilla che molti commentatori senza memoria storica hanno voluto leggervi (la citazione incriminata sarebbe la scena della larva che mangia i grattacieli di Tokyo), ma la ripresa letterale di Mothra, forse il più delicato dei mostri partoriti dalla fantasia di Ishiro Honda: una farfalla figlia dell’orrore atomico talmente pura che solo due gemelline lillipuziane le si possono rivolgere cantando a canone.
Ed ugualmente giapponese è l’idea che sta alla base di Ginormica, una donna alta quindici metri che rilancia il gioco di prospettive cangianti (dall’estremamente alto di Godzilla all’infinitamente piccolo delle citate sacerdotesse gemelle) che era alla base del Mosura tai Gojira.
Di americano, in questo film restano Anello (un mostro della Laguna nera infaustamente provvisto di parola) B.O.B. (che cita il Blob, ma senza Steve Mcqueen), il Dottor Scarafaggio (con la voce del Dottor House, ma coi baffetti e lo sguardo ambiguo di un novello Vincent Price) e il generale delle Forze armate che è pescato da Kubrick con tanto di stanza ovale di Stranamoriana memoria. Figure ambigue di un immaginario riconoscibile messe al servizio di un frullato virtuale che solo in parte rinverdisce i fasti delle coproduzione nippoamericane tra cui il già citato King Kong.
E il frullato virtuale è ormai il marchio distintivo delle produzione Dreamworks, testi che citano a piene mani altri testi, ipertesti che non nascondono la loro carica derivativa autodenunciandosi come esponenti di un post moderno che si costruisce a suon di citazioni. Ecco allora che il presidente americano sale la scalinata che conduce al monocolo robotico di un altro mondo (War of the worlds versione Haskin, ma anche Spielberg) per raggiungere una tastiera con cui tentare una comunicazione musical-matematica (Close encounters of the third kind). Ed ecco poi la scena del lancio dei missili contro l’intruso alieno che son respinti, ahinoi, dagli scudi deflettori (Indipendence day) tra cui ne spicca uno con la scritta" E.T. go home" mentre in colonna sonora riecheggia la musica di John Williams per il capolavoro spielberghiano. Una massa di ammiccamenti che faranno la gioia dei critici tarantiniani che al cinema cercano il ricordo delle passate visioni e che non si accorgono che la citazione vive solo in superficie. Il cuore resta inerte, sul fondo, ad aspettare.
Il problema è che Mostri contro alieni non porta la firma di un Brad Bird. Le citazioni dal passato sono pure icone replicate sullo schermo con carta copiativa di scarsa qualità. Nel trarle dai capolavori del cinema non solo di genere, nessuno degli autori si è peritato di portarsi dietro anche un po’ del loro senso, della loro ragion d’essere, della loro poesia. Restano figure senza sfondo, sono cere pronte a sciogliersi al calore delle lampade xenon dei proiettori.
Mothra per Honda era il simbolo dello scempio dell’uomo sulla natura e la speranza per un futuro migliore. Gli alieni spilberghiani erano la dimostrazione potente della nostra piccolezza nei confronti di un mondo freddo ed ostile, i mostri o gli alieni del film in questione sono solo figure da videogioco senza profondità o valore. Non ci dicono niente del mondo in cui viviamo, non rappresentano un punto di vista sul Reale. Sono la zucchero filato di un cinema omologato: con un cucchiaino ci costruisci un lungometraggio che è tutta aria e qualche ragnatela dolce.
E i bambini che lo mangiano rischiano di farsi male ai denti. Meglio allora che vadano a vedersi Ponyo, fulgido esempio di un cinema per l’infanzia che prende per mano gli adulti e li fa tornare bambini con l’incanto del colore. Mostri contro alieni, viceversa, tratta i bambini come piccoli consumatori e li stordisce con un caleidoscopio di immagini e rumori che sono come quelle del cinema per grandi. La magia è rimasta altrove.
(Monsters vs. Aliens); Regia: Rob Letterman, Conrad Vernon; sceneggiatura: Maya Forbes, Wally Wolodarsky, Rob Letterman, Jonathan Aibel, Glenn Berger; montaggio: Joyse Arrastia, Eric Dapkewicz; musica: Henry Jackman; produzione: Lisa Stewart, Jill Hopper Desmarchelier, Latifa Ouaou; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2009; durata: 94’
