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Mr Bean’s holiday

Pubblicato il 5 aprile 2007 da Alessandro Izzi


Mr Bean's holiday

Mr Bean come Monsieur Hulot?
Le vacanze dell’ultimo film sulle disavventure del comico nato nella televisione britannica è prima di tutto una vacanza nel mondo del cinema. Non solo perché la meta ultima del viaggio è una Cannes in pieno clima festivaliero, ma anche e soprattutto perché ogni singolo elemento, ogni gag ideata e messa in scena all’interno della pellicola reca impresso il segno distintivo di un cinema che fu. È forgiata nel fuoco dell’omaggio e della citazione più o meno colta a vecchi e nuovi modi di raccontare per immagini.
Tati, dicevamo all’inizio, perché il Mr Bean di questo piccolo prodotto di intrattenimento, in viaggio in Francia parla, gesticola, si muove in situazioni tragicomiche che molto sembrano aver a che vedere coi capolavori del più grande genio della comicità del cinema sonoro europeo.
Il personaggio creato dalla fervida mente (e dal corpo snodabile) di Rowan Atkinson non aveva mai parlato, neanche quando era relegato allo spazio assai ridotto della striscia comica televisiva. Ma i borbottii insondabili, le parole smozzicate, le (ef)fusioni plurilinguisiche delle poche parole intelligibili (un po’ d’inglese, un po’ di francese, una sola parola di spagnolo) di questo film ricordano troppo da vicino i suoni emessi da Hulot per non destare sospetti di una figliolanza diretta. Del resto quando, in piena Parigi, Bean deve trovare la stazione ferroviaria e comincia a marciare per tutta la città fidando nella sola direzione offertagli dalla bussola da tasca, scavalcando con ampie falcate intere panchine occupate da amanti alla Doisneau la sua andatura regolare a ritmata come il passo indefinibile di un orologio è troppo simile a quella ideata dal grande comico francese per non farci pensare ad un omaggio sin troppo dichiarato. Poco più avanti, gli omaggi si fanno ancor più palesi e scomodi: Bean deve inseguire un biglietto d’autobus necessario per arrivare alla sua agognata ed egoistica destinazione, ma questo biglietto sembra quasi dotato di vita propria e fugge via esattamente come faceva la bicicletta spiritata che il postino François doveva rincorrere in una delle scene più giustamente celebri di Jour de fête. Per rincorrerlo è lo stesso Bean a dover montare sul sellino di un arrugginito velocipede che, correndo, supera in volata un gruppo di ciclisti professionisti come aveva fatto Tati in una scena (incredibilmente più geniale di questa) sempre dallo stesso film.
Più avanti sulla stessa strada, fatta di colpo deserta dal più classico degli escamotage surreali dei film comici, il protagonista decide di fare autostop, ma l’unico veicolo all’orizzonte (un’improbabile motoretta) si rivela incredibilmente lento e sembra impiegare ore per arrivare davanti al pollice teso: Monsieur Hulot attendeva allo stesso modo che Giffard percorresse per tutta la sua lunghezza un corridoio d’ufficio in Play time.
Girano le citazioni di Mr Bean’s holiday ad un ritmo troppo forsennato e secondo una propensione troppo superficiale perché se ne dia conto qui in maniera più puntuale. E la superficialità è resa ancor più evidente dal fatto che tra il personaggio inglese e Monsieur Hulot permane una differenza non certo di piccolo conto. Il primo, preda del solo principio di piacere (e quasi del tutto ignaro di ogni forma di dovere verso gli altri), si integra abbastanza fattivamente nel mondo circostante e non ne è mai davvero ricacciato ai margini. Il secondo, che pure agogna disperatamente qualsiasi forma di contatto umano e che fortemente vorrebbe essere sinceramente d’aiuto (e con grande umanità) per il suo prossimo, si trova a vivere la posizione esistenziale di un vero e proprio corpo estraneo, perennemente rifiutato da una società cinica verso il suo candore commovente. Mr Bean, insomma, è l’anti Hulot, l’esatto opposto del comico (imparentato al teatro dell’assurdo) di Tati. Di qui la differenza ancora più grande. Anche Bean è costretto, nel corso del film, a diventare una specie di ‘Mon oncle’ di un povero bambino di origini slave (Max Baldry un attore da tenere d’occhio), ma il rapporto che lega i due personaggi più che ricordare quello che univa Gerard ad Hulot sembra ricalcare più da vicino quello intercorrente tra Charlot e il piccolo monello. Insomma la comicità del Bean di questo film è incredibilmente più umanista e meno cinica. Il principio di piacere, unica molla che aveva sin qui guidato il personaggio, scende a compromessi col principio di dovere e il finale non è più, come in TV, nel chiuso della stanza col protagonista che mette a nanna il suo fido orsacchiotto per poi dormire a sua volta, ma nell’assolata realtà di un musical che prende corpo sulla spiaggia di Cannes dove cantano tutti insieme appassionatamente. Ma la commedia graffia poco quando in essa muore il cinismo. E questo film, a tratti divertente e ben costruito, finisce per dare troppo spesso l’impressione di lasciare il tempo che trova.


CAST & CREDITS

(Mr Bean’s holiday); Regia: Steve Bendelack; sceneggiatura: Robin Driscoll, Simon McBurney, Hamish McColl; fotografia: Baz Irvine; montaggio: Tony Cranstoun; musica: Howard Goodall; interpreti: Rowan Atkinson (Mr. Bean), Max Baldry (Stepan), Emma de Caunes (Emma), Willem Dafoe (Carson Clay); produzione: Studio Canal, Tiger Aspect Productions, Universal Pictures, Working Title Films; distribuzione: Universal; origine: Gran Bretagna, 2007; durata: 96’ webinfo: Sito Ufficiale


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