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Nella casa

Pubblicato il 20 aprile 2013 da Alessandro Izzi
VOTO:


Nella casa

È facile sbagliare indirizzo quando si cerca di entrare Nella casa di Ozon.
È facile perché la sua casa è un labirinto astratto, pieno di specchi, con corridoi che aprono, a destra e sinistra, su porte tutte uguali, ciascuna con una sua promessa e un suo inganno.
Il suo è un cinema di stanze che danno su altre stanze. Un mondo in cui la fuga veloce dei gradini sulle scale si arresta sempre su un altro piano, probabilmente uguale al sottostante, eppure diverso nella disposizione dei locali e degli arredi.
Un cinema di strutture, di geometrie in cui ogni cosa trova un proprio posto e ogni oggetto andrebbe messo altrove.

La narrazione, per Ozon, è sempre stato un prisma entro cui far passare la luce curiosa delle immagini di un proiettore cinematografico. Non c’era bisogno di arrivare a Dans la maison per rendersi conto di una realtà tanto semplice che era sotto gli occhi di tutto sin dai tempi di Swimming pool.
Cercare significati precisi per avvallare una lettura (in un senso come nell’altro) del suo ultimo film è una forzatura ingiusta nei confronti della pellicola e della sfuggente poetica dell’autore francese.
Leggerci dentro l’omaggio a Pasolini, il riferimento a Schopenhauer, una riflessione sulla crisi della borghesia o sul suo trionfo equivale a prendere un solo bandolo della matassa (o più di uno) dimenticando fatalmente che Dans la maison non è un film da guardare, ma da attraversare, da percorrere, da perdercisi dentro come uno di quei castelli di specchi in cui, per quante cose strane guardi, devi poi ammettere che sei sempre tu riflesso in qualche modo strano.

Provate a prendere un caleidoscopio, a metterci dentro un occhio e a farlo girare infinite volte: avrete infiniti paesaggi di colore aperti sotto il vostro sguardo. Ozon ha fatto esattamente questo: ha giocato con la sostanza del racconto in maniera borgessiana (ma con molta meno autoironia) sino a renderla infinitamente manipolabile, infinitamente deformabile, infinitamente aperta ad ogni possibilità. Questa infinita libertà dell’atto di narrare sgomenta perché mette l’autore di fronte all’urgenza di assumersi la responsabilità della posizione del suo sguardo. E mette il lettore nella posizione di complice nel preciso istante in cui, cominciando a leggere, prende su di sé i rischi della posizione assunta dall’autore.
Ogni sguardo è un punto di vista che si porta appresso le sue conseguenze che lo si voglia o meno. Narrare, come guardare, sono atti che perdono innocenza, sono penetrazioni e forzature che seducono e fanno male al tempo stesso.
Il Reale, da parte sua, resta inconoscibile perché sempre infinitamente interpretabile. Lo snodo teorico il film ce lo mette davanti nel preciso istante in cui fa raccontare lo stesso episodio assumendo due punti di vista e due sguardi virtualmente opposti. Il paradosso che ne viene fuori è che nascono sotto i nostri occhi due film diversi eppure non cambia il risultato perché in entrambi i casi c’è sempre un narratore che seduce, con la possibilità «altra» del suo punto di vista, un lettore.

Il racconto, in questo modo è trappola per topi. Un meccanismo così perfetto e armonico nella sua eleganza letale che non ha più neanche bisogno del formaggio per trarre a sé il curioso roditore. Sembrerebbe che la trappola sia lì per afferrare l’attimo, per cogliere un Senso, ma a finirci dentro è sempre il lettore, sedotto eppure mai abbandonato perché ogni complicità pretende un patto, un onere e un compenso.
L’Arte si fa quindi ambigua, sfuggente e non è facile amarla perché, perfetta, non è mai incolpevole. La metti in casa (adattata alle pareti come gli acquerelli di Klee) o nelle gallerie d’arte per lo spreco di parole dei cataloghi e anche qui la sostanza non cambia: ci ributta sempre addosso la nostra immagine riflessa.
Perché lettore e narratore, in fondo, non sono che un’immagine allo specchio e come Adone, il rischio che ci coglie come vertigine, è sempre quello di cadere nel riflesso sull’acqua per troppo desiderio.
Ozon gioca con questo meccanismo costruendo un film di emozioni cerebrali in cui i movimenti di macchina sono perennemente a chiudere. Si avvale in questo di attori superbi, dal meraviglioso Fabrice Luchini che interpreta il professore sedotto dal racconto al giovane Ernst Umhauer che condensa in sé l’apparente innocenza del ragazzo all’ambiguità vischiosa del poeta sino alla Kristin Scott Thomas compagna fidata che nasconde a se stessa le profonde insoddisfazioni.
Un film perfetto in cui l’atto d’amore per il cinema e la letteratura coincide con la presa di consapevolezza del suo essere, oltre che consolazione, un piacere insidiosamente letale.


CAST & CREDITS

(Dans la maison); Regia e sceneggiatura: François Ozon; fotografia: Jérôme Alméras; montaggio: Laure Gardette; musica: Philippe Rombi; interpreti: Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner, Denis Menochet, Bastien Ughetto, Jean-François Balmer, Yolande Moreau, Catherine Davenier, Vincent Schmitt, Jacques Bosc, Diana Stewart; produzione: Mandarin Films, Mars Distribution, France 2 Cinéma; distribuzione: BIM; origine: Francia, 2012; durata: 105’


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