Nella valle di Elah

L’aveva vaticinato Marco Müller: questa 64esima sarebbe stata un’edizione "bellica" della sua Venezia. The day after De Palma è arrivata quest’altra amarissima riflessione sulla guerra in Iraq, affidata ad un film che pare, invero, molto incompiuto. Vorremmo poterlo complessivamente definire almeno uno spaccato familiare, ma Haggis spreca clamorosamente la Sarandon e gli spunti profusi generosamente dalla sua intensa "madre coraggio".
Paul Haggis è un nome relativamente nuovo all’interno dell’establishment cinematografico americano, e tuttavia, già acquisito fra i grandi: i pochi progetti cui ha legato la sua firma si sono dimostrati, fin qui, degli autentici cavalli vincenti. Se il lavoro condotto su Million Dollar Baby pareva solidissimo, ottimamente congegnato, la riuscita del film nel suo complesso si può imputare, col senno di poi, soprattutto all’abile regia eastwoodiana. Il suo Crash, pur celebrato dagli Oscar, pare ancora più sopravvalutato alla luce (fioca) di quest’ultimo In The Valley of Elah, pur molto apprezzato da molti al Lido.
Quando ci si affida ad uno esperto come Tommy Lee Jones (in odore di nomination) si parte già, evidentemente, col piede giusto: tra le mille pieghe del suo volto scavato è dato cogliere un’infinità di storie possibili, tutte attraenti. Ed è brava, in maniera sorprendente, pure Charlize Theron, che migliora di film in film. Susan Sarandon, come detto, tratteggia efficacemente il suo personaggio ingrato di madre che perde due figli, eppure passa inopinatamente il suo tempo incollata al telefono ad attendere comunicazioni dal marito ben più sollecito (poiché sembra pianificato a tavolino che tutti i riflettori e la gloria debbano andare al personaggio di Tommy Lee Jones). Qui esiste, però, un problema di scrittura del personaggio: ed è una falla particolarmente grave se il nominativo del regista e quello dello sceneggiatore combaciano, come nel caso in questione.
Non si tratta, dunque, di un film di guerra nel senso pieno del termine, ma sulle sue conseguenze, secondo una tendenza ormai tracciata e consolidata nel cinema contemporaneo. E non ci troviamo neppure nel reame del poliziesco/film d’inchiesta, ennesimo detour interno alla pellicola, ingenerato dall’importanza che, da un certo punto in avanti acquisisce il personaggio dell’agente interpretato dalla Theron. Alla fine, però, pur percorrendo una teoria intricata di strade, il regista non conduce in alcun posto. Almeno, questa è l’impressione che ne ricaviamo.
Intendiamoci: il non far riferimento a un modello di narrazione tradizionale non rappresenta certo un difetto di per sé. Il problema è che Haggis ha ispirazioni ambiziose, ma alla fine non fa che mettere l’acquolina in bocca al suo spettatore, presentando al tavolo un mare di pietanze, facendogliene subodorare l’aroma, ma servendo, in ultima analisi, solo vivande dal sapore stantìo. E neppure le massicce dosi di retorica che elargisce aiutano molto a mandar giù il boccone. A salvare il film ci pensano le ottime interpretazioni: se per qualcuno può bastare, si accomodi pure: sarà servito a dovere.
(In the Valley of Elah); Regia e sceneggiatura: Paul Haggis; fotografia: Roger Deakins; montaggio: Jo Francis; musica: Mark Isham; interpreti: Tommy Lee Jones, Charlize Theron, James Franco, Susan Sarandon, Josh Brolin, Jonathan Tucker, Jason Patric, Rick Gonzalez; produzione: Blackfriars Bridge Films, NALA Films, Samuels Media, Summit Entertainment; distribuzione internazionale: DeA Planeta; distribuzione italiana: Mikado; origine: USA, 2007; durata: 120’
