NON SOLO CINEMA
Carola Spadoni ha un lungometraggio, Giravolte, fermo nel listino della Pablo da 4 anni, e chissà se si riuscirà mai a farlo vedere nelle sale; Elisabetta Lodoli, dopo il primo lungo del 1996, è riuscita a realizzare solo film e documentari per la tv; Paolo Genovese e Luca Miniero hanno dovuto posticipare la data di uscita del loro Nessun messaggio in segreteria di due settimane a causa dell’affollamento e della concorrenza, un po’ sleale, di filmoni come Le crociate, oltre ad accettare di promuovere la propria opera con un trailer completamente fuorviante ma, secondo la distribuzione, più accattivante. Questi i registi (tranne Luca Miniero, assente giustificato) protagonisti ieri alla Casa del Cinema al quarto appuntamento di RING, sulle contaminazioni e i passaggi, più o meno forzati, da un linguaggio audiovisivo all’altro da parte degli autori. Tutti e tre, come dimostrano gli intoppi e le difficoltà elencati all’inizio, sono penalizzati da un sistema che non è sistema, in cui tutto il potere è in mano alla distribuzione. Oggi il problema non è più tanto produrre un film, perché in qualche modo, magari rocambolesco, ci si riesce comunque, dice Paolo Genovese, il vero sbarramento viene dopo, al momento della diffusione nelle sale. E se un film non si riesce a farlo vedere è come non averlo fatto. E allora, forse, il discorso potrebbe chiudersi qui. A che vale parlare dei diversi stili e delle diverse forme di ricerca espressiva dei giovani registi (più orientata allo sperimentalismo la Spadoni; surreal-realistici, con un efficace retrogusto pubblicitario, Genovese e Miniero)? Che importa stabilire se possano o meno dirsi indipendenti e, soprattutto, cosa significhi essere indipendenti? L’indipendenza si definisce rispetto a un sistema di potere come strada produttiva e creativa alternativa; significa inserirsi in un meccanismo che tutela l’autonomia creativa dell’autore portando fino in fondo, cioè fino al pubblico, la sua opera. Poco importa, poi, se il regista sta sperimentando un nuovo linguaggio, concretizzando una ricerca espressiva, raccontando una storia in modo originale oppure stia semplicemente dando forma a un buon film classico. In Italia non è possibile parlare di cinema indipendente, a meno di non identificarlo con la folta schiera di film fantasma che ammuffiscono per anni nei listini di distribuzione delle società meno forti sul mercato. Quando un piccolo film, con un regista e degli attori poco noti, riesce ad emergere, i suoi artefici vengono immediatamente fagocitati dai meccanismi del cinema mainstream, secondo la logica del ribelle di successo il cui impeto creativo e innovatore viene istantaneamente messo a tacere grazie all’inserimento in un contesto convenzionale. Se Genovese e Miniero hanno successo con il primo loro lungometraggio fuori dagli schemi, troveranno i soldi per farne un secondo, a patto che rientri negli schemi... Limiti e libertà del cinema italiano, e limiti e libertà delle diverse forme espressive. Per Paolo Genovese, che ha iniziato con la pubblicità, e che continua con Miniero a sfornarne di molto buone, negli spot c’è il limite dato dal fine preciso della vendita del prodotto. Ma nel rispetto del raggiungimento degli obiettivi ci si può esprimere artisticamente. Nel cinema, teoricamente, dovrebbe esserci totale libertà artistica, ma se per il mio film mi si chiede di sostituire Carlo Delle Piane, perché ‘non vende’, con Lino Banfi.... RING, in questo senso, è un’ipotesi di lavoro. Per smettere di lamentarsi e iniziare a FARE.