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Notte italiana, quell’esordio in cui c’è già tanto Carlo.

Pubblicato il 11 febbraio 2014 da Edoardo Zaccagnini


Notte italiana, quell'esordio in cui c'è già tanto Carlo.

Ci sono già i luoghi di Mazzacurati in Notte italiana: quella bassa veneta di un rosa fermo al tramonto, o di un arancio lucido in un’alba nebbiosa e disabitata che accompagna lentamente il grande fiume fino al Mare Adriatico, e i personaggi del regista nella loro esistenza affannata. Quel Polesine malinconico che ospita certe vite appese a se stesse, sottili e perdenti, che stanno in piedi per un soffio, escluse dal gioco dei vincenti, espulse da certo benessere sfrenato e violento di quelle parti. Perché il paesaggio è fondamentale nel cinema di Mazzacurati, facilmente quella "sua" campagna sciolta dal fiume e morsa dal mare, terra di acqua e di colori, tanto amata e mai idealizzata dal regista se non per la sua grande e naturale bellezza. Mai adoperata come garante della felicità umana, perché il cinema di Mazzacurati è antropocentrico e realistico, è di osservazione civile e umana, e non è che la campagna morbida e luminosa, come nel lontano cinema fascista, possa essere il luogo della rettitudine morale, dei sani princìpi e del giusto, e la città il luogo del vizio, del degrado morale e della perdizione. Macchè! Per Mazzacurati, già da Notte italiana, il male e la bruttezza sono nella carne dell’uomo, al di là dei posti che abita. Allungano le radici affilate nella città grigia e rumorosa come nella poetica ed antica pianura che nasconde casupole di intonaco sbiadito tra le canne e la palude. Certo, la natura del Polesine è forte tanto da contagiare il viaggiatore, che può utilizzarla per scoprire una profondità nuova di se stesso, certi estremi comportamentali come nascosti in un inaspettato doppio fondo di coraggio e grandezza d’animo. Accade all’avvocato Morsiani di Notte italiana, un Marco Messeri mai più così protagonista e forse mai più così bravo. Come se ci fosse un’energia nascosta in quella terra, la stessa di aspra e concreta bellezza che ospita dieci anni dopo un altro film del regista: L’estate di Davide, doloroso romanzo di formazione ambientato di nuovo lungo il delta in un Po che impotente osserva l’incontro di tre giovani destini infelici, senza riuscire a regalare loro un finale conciliatorio. Davide non ha nemmeno vent’anni, viene da Torino e quasi senza accorgersene tocca la bellezza di quella pianura a riposo, avvicinandosi inevitabilmente a certe solitudini che vi sono dentro. La felicità gli scivola di mano come un’anguilla di quelle parti, più veloce di un’estate la sua vita si fa drammatica, col sole ancora caldo su quell’orizzonte di pannocchie e di canali. Davide incontra alcuni pezzi del grande paesaggio culturale dipinto da Mazzacurati coi suoi film, quello spesso album di fotografie su un piccolo mondo che cambia: eccole nei bar, le facce del regista, la sua gente, nei retro delle cascine, nelle officine e nelle locande della pianura, lungo il fiume e nei locali di quel grande spazio ai margini, nelle stradine piccole sopra i pioppeti. Alla vigilia di un grande cambiamento e poi più tardi, quando i giochi sono irrimediabilmente fatti. Davide incontra altre vite come la sua, dopo quelle incontrate una decina d’anni prima dall’avvocato Morsiani. Era un mondo in agonia quello di Notte italiana, colto alla vigilia di un angosciante e irreversibile cambiamento. Quello di Davide è invece il "nuovo", con le guerre e i cambiamenti politici che hanno portato lungo il fiume lingue e facce diverse, accolte con silenzio e diffidenza, messe a irrobustire il gruppo degli invisibili, delle vite da retrocessione che parlano italiano. Accade di nuovo nel 2000, che la laguna veneta infuocata d’acqua immobile accolga la disperazione di due ultimi, accarezzi le loro ferite, come un’acqua santa che dà sollievo agli ammalati. E’ La lingua del santo, con due poveri ladroni improvvisati che raccontano un Nord Est adesso ricco e duro per i fragili, per i soli, per chi è inciampato in se stesso e quando ha chiesto aiuto non ha trovato che insulti e indifferenza. E accade di nuovo vent’anni dopo Notte italiana, nel 2007, che quella terra addormentata e docile veda scoppiare all’improvviso la facilità del male. E lo guardi silenziosa e non indifferente, mentre la comunità impaurita e feroce s’accanisce sul più debole, sullo straniero, sull’altro, sul diverso, sul capro espiatorio che la rinforza. Tra le solite stradine a perdersi nei pioppeti e nei campi, sui lenti battelli che galleggiano sul fiume, tra la poesia di Olmi, Bertolucci, Antonioni e Fellini, ecco la La giusta distanza del 2007, dove una bellissima maestrina toscana arriva a scomporre il fragile ordine di quello spazio di confine, fino a che muore ammazzata di notte, e la colpa, anche se non c’entra nulla, la danno tutti a un arabo che vive da quelle parti, da tempo e in regola, "integrato" in un’officina di automobili dalla mattina alla sera. Confine, abbiamo detto, non solo spaziale, ma anche del tempo. Notte italiana racconta un Paese, e forse un mondo, che stanno silenziosamente mutando, profondamente cambiando, ancora di più degenerando. C’è molto più di un grande fiume tra il passato ed il futuro di quella terra tutta a Nord Est. C’è un bicchiere di grappa casareccia che forse è l’ultimo, c’è un flipper che sta per cedere il passo a un videogioco, c’è un antico modo di pensare che sta per essere spazzato via per sempre. C’è una cultura a forte rischio inquinamento, in pericolo come quel paesaggio puro e sempre più piccolo. C’è uno stare di Mazzacurati sul confine del tempo che ritroveremo poco dopo in quella "trilogia dell’Est" (di un Est più grande) composta da Un’altra vita, Il toro e Vesna va veloce. Tre film sulla fine del comunismo, sul socialismo reale, tre film su quell’Italia già in crisi economica e di valori dei primi anni ’90. Mazzacurati è stato sensibile alle trasformazioni sociali ed ambientali delle sue terre: del suo Polesine, del suo Veneto (raccontato anche coi ritratti di Marco Paolini, Andrea Zanzotto e Luigi Meneghello), dell’Italia tutta e dell’intero mondo. Ha raccontato con la sua lentezza poetica e con la sua costanza civile la direzione ostinata del presente. La sua macchina da presa ha mostrato con preoccupazione il crescente vuoto di valori. Il suo grido è stato sottile ma profondo, qualche volta ironico, ma la sua passione per i disgraziati ed i più deboli, nostri e di altri paesi, ha costruito un continuo presente che è oggi Storia attraverso il cinema, reportage di un mondo in disordine già da quella simbolica Notte italiana del 1987. Mazzacurati ha detto già dal primo film che i sentimenti umani, l’amore o l’amicizia, possono salvare la vita, a chiunque, o in ogni caso ridarle senso profondo. Non solo a quei perdenti e disperati fuorilegge come i protagonisti del Toro, a quei i ladracci di sante reliquie de La lingua del santo, ma anche a un avvocato di provincia (Notte italiana), a un regista in crisi di identità (La passione), a un dentista della capitale, (Un’altra vita). Guai a non lottarci per un rapporto umano autentico, specialmente in un mondo amaro come quello dei suoi film. Non è essere conservatori, rifugiarsi nel privato. E’ ripartire dalle relazioni, dagli affetti, e poi andare oltre.

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