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Veloce come il vento

Pubblicato il 17 aprile 2016 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Veloce come il vento

"Voglio partecipare a questa gara per folli, tanto non ho più niente da perdere!"
- Loris De Martino

Vi è un simbolico anello di congiunzione che lega il nuovo film di Matteo Rovere al cinema italiano di oggi: il vento. Perchè Veloce come il vento spira leggero e ristoratore, portando una giusta dose di freschezza a un modello cinematografico, ormai sottomesso alla commedia scialacquata, che lo accarezza, rinvigorendolo, facendo sorridere tutti noi spettatori, smaniosi di assistere a qualcosa di nuovo. Appunto. Una manciata di settimane dopo l’uscita nelle sale del film già cult dell’anno, quel Lo chiamavano Jeeg Robot che ha quasi fatto gridare al miracolo più di qualcuno, si torna in pista, seduti sugli spalti ad ammirare la corsa sfrenata (ma non scellerata) di Veloce come il vento.

Si tratta di un progetto a metà strada tra il film sportivo e il dramma familiare, un’occasione per immergerci in una realtà tanto appariscente, quanto ordinaria, quasi invisibile, ma percettibile: l’Emilia Romagna, da sempre terra dei natali di piloti e appassionati di motori è il palcoscenico perfetto per una storia di rivalsa, che trova nell’ex pilota e ora tossicodipendente Loris De Martino (uno straordinario Stefano Accorsi, mai così viscerale in tutta la sua carriera) l’antieroe perfetto, travestito da figliol prodigo un pò per necessità, un pò spinto dal dolore per la perdita del padre, ritornato giusto in tempo per salvare la sorella Giulia (una graffiante ma tenera Matilda De Angelis) e il fratellino Nico (Giulio Pugnaghi) da una situazione per nulla idilliaca.

Nonostante Veloce come il vento sia stato pubblicizzato come un film incentrato sul mondo automobilistico semi-professionistico (c’è del romance alla base, se si considera che Giulia, pilota talentuosa nemmeno maggiorenne non possiede la patente di guida), è chiaro l’intento di Matteo Rovere di disegnare un dramma familiare cinico e senza apparente risoluzione, non lesinando denunce al modus operandi dei signori dei motori, padroni di prestigiose officine automobilistiche, volgare e degno dei più arcigni strozzini di gangsterlandia, che non perdono occasione per sfruttare le altrui debolezze, disintegrando la concorrenza dal profondo della loro innocenza e onestà. Al netto dei fatti, non può, tuttavia, essere accantonato il comparto tecnico dedicato allo sviluppo della sottotrama sportiva: Rovere esalta le sue doti di regista durante le sequenze adrenaliniche, quelle girate in pista, grazie a un assortimento di dettagli e primissimi piani focalizzati su minuzie di ingegneria meccanica, enfatizzati da soggettive e campi-controcampi montati alla perfezione, riuscendo a tenere il mezzo cinematografico sempre sotto controllo.

Certo, non tutto fila liscio come l’olio, perchè Veloce come il vento sbanda in almeno due occasioni, per colpa dell’assenza di un paio di sequenze di raccordo, che avrebbero cementato ulteriormente la narrazione, proponendo una maggiore fluidità: manca per intero un focus sul passato di Loris, che viene inserito in medias res, senza un minimo di introduzione al personaggio, se non per qualche rimando alla scomparsa della mamma, così come si avverte un vuoto quasi fisico tra il termine della pericolosissima Italian Race e il denoument finale, a iniziare dal fuoripista di Loris.

Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, ora Veloce come il vento. Sono due oasi nel mezzo dell’afoso deserto del panorama cinematografico italiano mainstream. Ma, chi può dirlo, magari il vento sta davvero cambiando...


CAST & CREDITS

(Veloce come il vento); Regia: Matteo Rovere; sceneggiatura: Matteo Rovere, Filippo Gravino, Francesca Manieri ; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Gianni Vezzosi; musica: Andrea Farri; interpreti: Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Rinat Khismatouline, Tatiana Luter, Roberta Mattei, Cristina Spina; produzione: Fandango; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2016; durata: 119’


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