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Colonia

Pubblicato il 2 giugno 2016 da Matteo Galli
VOTO:


Colonia

Colonia Dignidad, nell’edizione italiana, semplicemente Colonia è uno di quei film a cui si dovrebbe almeno in parte essere grati perché veicolano informazioni storiche e politiche che uno spettatore anche mediamente informato probabilmente non conosce. Non si può non riconoscergli un nobile intento: (ri)portare alla memoria collettiva una pagina tetra della storia mondiale e, più in particolare, della storia tedesca. Anche se poi un buon film è davvero un’altra cosa. I fatti, innanzitutto. Sotto le mentite spoglie di una comunità religiosa Colonia Dignidad venne fondata a 350 km da Santiago del Cile, da un certo Paul Schäfer, un sordido individuo che si spacciava per predicatore, in fuga dalla Germania Federale per crimini vari, fra i quali molestie sessuali ai danni di minori, proprio nel 1961, nell’anno in cui a Berlino veniva costruito il muro. Si scrive colonia ma si legge campo di concentramento: l’insediamento – circa 300 km² - ne presenta di fatto tutte le caratteristiche: distante da un centro abitato, recintato da chilometri di filo spinato elettrificato con torrette di controllo e impianti di sparo automatico, lavori forzati, divise, camerate/baracche, maltrattamenti. Non ci sono, è vero, i forni crematori, ma anche a Colonia Dignidad (altrimenti chiamata Villa Bavaria) si muore: i casi di decessi a seguito di percosse e simili ai danni di “prigionieri” riottosi, soprattutto prigioniere, stante l’orrenda misoginia di Schäfer, non sono una rarità. Va da sé che, quando nel 1973 il generale Pinochet, complici i servizi segreti americani, rovescia il governo di Allende, uccide il presidente cileno e sale al potere, Colonia Dignidad diventa un luogo ideale per torturare e far sparire i dissidenti. Su questa agghiacciante e opprimente cornice fattuale il regista Florian Gallenberger e il suo sceneggiatore Torsten Wenzel innestano una vicenda di finzione che vede protagonisti l’attivista, grafico e fotografo tedesco Daniel (interpretato da Daniel Brühl) e la sua fidanzata Lena (Emma Watson), una hostess della Lufthansa, che guarda caso si trova in visita a Santiago proprio nei giorni in cui avviene il golpe. Daniel viene deportato a Colonia Dignidad, selvaggiamente torturato e poi internato; Lena viene rilasciata ma, anziché rivolgersi alle autorità tedesche (capiremo solo alla fine che non sarebbe comunque stata una grande idea), decide, per amore, di sottoporsi a una sorta di via crucis e di internarsi a sua volta, nella speranza di ritrovare Daniel e di liberarlo. Non riveliamo il finale. Riveliamo invece che il film è molto modesto. La prima parte che racconta l’attività politica di Daniel e l’incontro, dopo mesi, con Lena è tremendamente posticcia: nella messa in scena e nei costumi, nei dialoghi, nel soundtrack (Janis Joplin, Carlos Santana etc.); il golpe, le scene per strada e allo stadio sono girate in modo sciatto e anche le sequenze di tortura sono decisamente finte. Dopodiché, innestandosi sulla parte più squisitamente documentaria e concentrazionaria (raccontata con notevole ridondanza), ha inizio il classico prison movie, un thriller con tutti i tipici elementi di questo sottogenere: simulazione, delazione, sadismo, con un meccanico montaggio alternato delle – rigorosamente separate - baracche maschili e di quelle femminili (anche se, malgrado le piantine che scandiscono i “capitoli” e i tempi di questa parte centrale in uno stile wannabe Lars von Trier, lo spettatore non riesce minimamente a orientarsi, a capire la relazione topografica fra le due zone e come riescano i due a incontrarsi in piena notte). A tutto ciò vanno ad aggiungersi le deliranti prediche, le orripilanti performance misogine e le continue molestie del delinquente Schäfer, detto Pius, ben interpretato da Michael Nykvist, tutto truccato per assomigliare al vero Schäfer, il quale, peraltro, la sfangherà fino alla fine del regime di Pinochet, dandosi nuovamente alla fuga, salvo, come Eichmann, esser catturato in Argentina; condannato a 30 anni, morirà in prigione nel 2010, a ottantanove anni. Riusciranno i due fidanzatini a fare quello che, nella realtà, in un trentennio è riuscito solo a pochissimi prigionieri, riusciranno i due fidanzatini a evadere da Colonia Dignidad? E se sì, in che modo? A quei prigionieri questo volenteroso ma debole film, in esergo, è dedicato. Ed è anche grazie al film che tutti i documenti riferiti alla Colonia, altrimenti secretati ancora per decenni, saranno prossimamente messi a disposizione dell’opinione pubblica, come ha promesso di recente Angela Merkel.


CAST & CREDITS

(Colonia Dignidad – Es gibt kein zurück). Regia: Florian Gallenberger; sceneggiatura:Florian Gallenberger, Torsten Wenzel; fotografia: Kolja Brandt; montaggio: Hansjörg Weißbrich; interpreti: Daniel Brühl (Daniel), Emma Watson (Lena), Mikael Nykvist (Paul Schäfer); produzione:Majestic Filmproduktion, Iris Prodcutions, Rat Pack Filmproduktion; origine: Germania, Lussemburgo, Francia 2015; durata: 110’.


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