Tutto quello che vuoi

Alessandro e i suoi tre amici hanno poco più di vent’anni e sono modellati secondo un improbabile aggiornamento pasoliniano, con tutto quello che comporta di poco credibile essere dei borgatari trasferiti nella Trastevere del 2017, dove certa “ignoranza” (leggi: vivere in un guscio impermeabile a qualsiasi stimolo esterno) li induce a comportamenti così basici e balordi da sfiorare la macchietta televisiva. Ma il cinema italiano, almeno quello destinato, come questo Tutto quello che vuoi scritto e diretto da Francesco Bruni alla sua terza regia dopo Scialla! e Noi 4, ad un pubblico “pop”, soffre ormai da troppi anni di questa eccessiva semplificazione, e mostra sugli schermi una popolazione esistente soltanto nella fantasia degli sceneggiatori. Suonerà come una cattiveria iniziare con parole tanto severe la recensione di un film che in fondo ha molti lati nobili, nato dall’esigenza del regista di elaborare non soltanto la scomparsa di suo padre, ma anche il lungo periodo degenerativo che ne ha preceduto la morte. Ma è un peccato che anche quando vorrebbe alzare il tiro, il cinema italiano ricada sempre in quei consueti e telefonati stereotipi che nel caso dei “ggiovani” producono un’aria fastidiosa e respingente di sommaria superficialità, nonostante la bravura dei giovani interpreti, costretti ad esprimersi in un linguaggio modulato sui soliti tre o quattro pattern conditi delle immancabili grevità del vernacolo, che nel caso del romanesco risultano, al cinema, ancora più posticce e irritanti. Insomma, pare impossibile che a 22 anni un ragazzo di Roma con la faccia, bellissima, di Andrea Carpenzano non abbia ancora collezionato alcuna esperienza sentimentale con qualche coetanea, e che la sua vita erotica sia limitata esclusivamente alla relazione clandestina con la matura mamma – lui ha perso la sua a due anni – di uno dei suoi amici (una convincente Donatella Finocchiaro in un inedito ruolo di Milf), e che trascorra il tempo a commentare le tette delle ragazze che passano insieme ai sodali fuori del bar San Calisto senza mai, per esempio, ascoltare una nota di musica (una qualsiasi, dal rap al hi-pop, a Emma Marrone). Ma superato il quadretto oleografico, la scena si anima all’apparizione del personaggio secondario di una padrona di casa di rango intellettualmente elevato, interpretata con travolgente realismo e ironica civetteria dall’ottima Raffaella Lebboroni, che ha il compito di introdurre sulla scena l’anziano poeta pisano Giorgio Ghelarducci, trasferitosi a Roma negli anni ’50 e amico di Pasolini e Pertini, colpito dopo la morte della moglie da un Alzheimer non ancora entrato nelle fasi più critiche, al quale Alessandro farà da badante per sbarcare il lunario e contenere le ire di un padre fin troppo verace (un ficcante Antonio Girardi) che vorrebbe tenerlo comunque lontano dalla strada. Ad interpretare questo personaggio di fantasia cui il Bruni sceneggiatore ha riservato la scrittura più accurata, impreziosita del lessico variopinto ed evocativo della poesia italiana, dei proverbi regionali e dell’opera lirica come è ormai la lingua dei "vecchi", rispetto alle quattro frasi in croce del formulario verbale delle nuove generazioni, il Bruni regista ha invitato un decano del nostro cinema, il regista Giuliano Montaldo, oggi arzillissimo ottantasettenne, che ha accettato con entusiasmo di esporsi davanti alla cinepresa con la sua scanzonata grazia di gentiluomo d’altri tempi: è senz’altro lui l’elemento più potente di un film altrimenti esile e stentato, costruito un po’ macchinosamente a tavolino (per quanto sia vera – Bruni dice che nel buio della mente in cui lo aveva sprofondato la malattia, fu proprio suo padre a ripescare nella propria memoria un ricordo di guerra simile a quello illustrato nel film – la storia del tesoro nascosto sull’Appennino e dei tre soldati Yankee suona pretestuosa, o comunque svolta e risolta con mano frettolosa e poco convinta, compreso l’infelice e sgradevole episodio del commesso gayo infinocchiato al Centro Commerciale) secondo quei criteri che finiscono sempre con l’imbrigliare la spontaneità e la freschezza di attori giovani e volenterosi, come il nutrito manipolo di under 25 presenti nel cast, composto, insieme al protagonista, dal figlio dello stesso Bruni, Arturo, Emanuele Propizio, Riccardo Vitiello, e dalla leggiadra Carolina Pavone. Va comunque dato atto al giovane Carpenzano di riuscire a strappare, con le sue, anche un paio di nostre lacrimucce in una delle ultime tra le molte sequenze a due insieme a Montaldo, giusta di toni e piazzata sapientemente in cima alla scala del culmine emotivo di un coming of age però piuttosto prevedibile, e di chiudere il film, poco più tardi, con una nota di svagata simpatia “alla Virzì”.
(Tutto quello che vuoi); Regia: Francesco Bruni; sceneggiatura: Francesco Bruni; fotografia: Arnaldo Catinari; montaggio: Cecilia Zanuso; musica: Carlo Virzì; interpreti: Giuliano Montaldo, Andrea Carpenzano, Donatella Finocchiaro, Antonio Gerardi, Raffaella Lebboroni; produzione: IBC Movie, Rai Cinema, Beppe Caschetto; distribuzione: 01; origine: Italia, 2017; durata: 106’
