Ouvertures - TFFdoc/INTERNAZIONALE
Al termine di questo Festival torinese, appare chiaro fino a che punto l’immaginario cinematografico contemporaneo si senta attratto dalle colonne d’Ercole del nostro mondo: Ouvertures , ambiziosa performance corale con cui la compagnia di attori e registi haitiani The Living and the Dead Ensemble si guadagna il Premio speciale della Giuria nella sezione Doc – Internazionale, ci trasporta nel vortice allucinato di una storia comune. Una sorta di epopea postmoderna, quella messa in scena dalla troupe, fotografata nel suo lungo viaggio dalle Alpi francesi alle selve caraibiche.
Protagonista indiscusso del film (già presentato al Forum della Berlinale 2020) è il governatore rivoluzionario Toussaint Louverture (Port-Margot, 20 maggio 1743 – Fort-de-Joux, 7 aprile 1803), qui nei panni di una presenza invisibile che vivifica ogni cosa, simbolo di un popolo che racchiude in sé l’identità di tutti i popoli del mondo. Toussaint Louverture, schiavo e padrone del proprio destino, guidò la ribellione afroamericana attraverso la quale Haiti ebbe la tenacia d’afferrare, prima di qualsiasi altra ex colonia, quegli ideali d’indipendenza e di libertà tanto vagheggiati in occidente quanto avvertiti oltreoceano. Toussaint Louverture, le cui tracce si disperdono in una cronologia dimenticata per il solo errore di non vederci protagonisti, muore in Francia per ordine di Napoleone, intrappolato in un carcere di roccia. Toussaint Louverture, revenant dalle ombre incerte, appare qui come volto senza volto in cui ogni volto s’inscrive: se Ouvertures muove i primi passi nelle caverne calcaree di un’Europa raggelata, esso conclude il proprio cammino nella terra natia, riportando a casa il Generale. Così, i tre atti in cui si articola questa strana pièce si sviluppano ai quattro angoli di un universo più comune di quanto non sembri, tentando di tradurre in visione una percezione collettiva. Se le prime inquadrature sono dominate dalla voce fuori campo del combattente, nelle ultime istantanee tale voce si spezza e s’insinua nei gesti con cui gli attori riportano in vita le parole di Édouard Glissant, poeta, filosofo, saggista e soprattutto autore dell’opera teatrale Monsieur Toussaint.
A mano a mano che gli interpreti s’immergono nella propria linea del tempo, una strana empatia pare impadronirsi dei loro corpi, fino a renderli parte integrante di ciò ch’essi raccontano. In questa eccentrica fantasmagoria, la brigata riscopre le origini dimenticate, riallacciando i legami perduti con l’ancestrale spiritualità che li circonda e ricongiungendosi con i propri antenati. L’impressione è che Toussaint, trasformatosi da personaggio storico in paradigma, si trovi ovunque: questa figura straordinaria e ambigua si smembra nelle strane improvvisazioni degli attori, nell’ambivalente nozione di libertà, nella consueta tendenza all’appiattimento dei confini spaziali e culturali, nel mondo circostante che è sempre uguale e sempre diverso. Il titolo del film, difatti, gioca con la molteplicità dei significati che si nascondono dietro ad ogni assioma: non esiste una sola uguaglianza, non esiste una sola fratellanza, non esiste un solo ouverture.
Particolarmente interessante è l’utilizzo della musica, inserita nelle immagini quasi a comporre una sinfonia distorta: ai Te Deum settecenteschi s’affiancano canti popolari haitiani o brevi esibizioni di freestyle spesso e volentieri improvvisate. Nemmeno i dialoghi sono studiati, ognuno s’abbandona al proprio flusso di coscienza e sogna la sua spirale, inseguendo il tradizionale movimento rotatorio tanto ricorrente nell’immaginario caraibico. Così anche il film finisce là dove inizia – nella caverna da cui Toussaint, secoli prima, s’allontanò, salvo poi rientrarci in catene. Impossibile scandagliare tutti i percorsi intrapresi dalla pellicola, finiremmo per impazzire. L’effetto è disturbante, il linguaggio della cinepresa abolisce la logica per favorire l’intuito – un’operazione alquanto pericolosa. Giunti alla meta finale, non si ha nemmeno voglia di parlarne: e questo è il più grosso pregio e, insieme, il più grosso difetto di questa bizzarra opera metafisica.
Ouvertures - Regia e sceneggiatura: The Living and the Dead Ensemble; fotografia: Diana Vidrascu, Louis Henderson; montaggio: Louis Henderson; interpreti: The Living and the Dead Ensemble (Mackenson Bijou, Rossi Jacques Casimir, Dieuvela Cherestal, James Desiris, James Fleurissaint, Louis Henderson, Léonard Jean Baptiste, Cynthia Maignan, Sophonie Maignan, Olivier Marboeuf, Mimétik Nèg); produzione: Spectre Productions, coproduction Home, La Fabrique Phantom; origine: Francia 2019; durata: 132’.