Pantani
CHI HA UCCISO MARCO PANTANI?
Marco Pantani non è stato uno sportivo qualunque: né per il ciclismo, né per l’Italia intera e i suoi numerosi sostenitori. Perché Marco Pantani è stato l’ultimo grande campione nostrano a lasciarci con l’amaro in bocca, come accade ogni volta che siamo costretti a confrontarci con qualcosa di incompiuto. Come la sua vita, per esempio.
Pantani – The accidental death of a cyclist è un documentario scritto e diretto dall’inglese James Erskine nel 2014, disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video dallo scorso 8 giugno, un’opera che racconta pedissequamente dall’inizio alla fine la vita di Marco Pantani, l’amore per le biciclette e l’ascesa nel ciclismo mondiale come l’uomo in grado di scalare qualsiasi tappa, inarrestabile perché dotato di un talento intramontabile, eroe del popolo perché sempre genuino e ragazzino.
Poi arrivò lo scandalo del doping, le accuse e la caduta del più grande di tutti: Erskin non cerca differenti punti di vista, né tantomeno si danna l’anima alla ricerca di una luce rivelatoria in fondo al tunnel, in cui la cronaca nera – il suicidio di Pantani – si mescola con l’acredine di fatti ed eventi appurati o presentati come mezze verità. Il lavoro di ricostruzione storica svolto dal regista inglese rende grande la figura di uno sportivo che l’Italia intera aveva adottato come suo solare e instancabile beniamino – anche chi, magari, non aveva mai mostrato simpatia per la disciplina sportiva del ciclismo -, proponendo, tuttavia, un resoconto abbastanza freddo e monotono delle gesta del Pantani sul tetto del mondo e della sua caduta. Nulla di più, nulla di meno.
Un compitino facile facile, per il quale solo chi non ha mai udito o conosciuto la figura di Pantani proverebbe un interesse duraturo. L’innegabile fascino dei filmati di repertorio e gli sporadici interventi dello stesso Pantani sono gli unici spunti di reale interesse nei confronti di un film che nulla ha da aggiungere sulla storia tragica dell’eroe della bicicletta, né dal punto di vista dell’inchiesta storica relativa alle cause della sua morte – esaurite nelle parole dure di Diego Armando Maradona, che incolpa simbolicamente tutti gli italiani della morte di Pantani, per «averlo lasciato solo» -, peccando di coraggio anche nell’andare a smuovere le torbide acque del mondo del ciclismo, sorretto dalle mire economiche dei grandi sponsor che tengono su la baracca, aspetto solo accennato e mai del tutto contestualizzato o approfondito dal regista-sceneggiatore.
Un breve momento di intima empatia prende forma solo quando si viaggia ancora più indietro negli anni, alla scoperta del Pantani bambino, ragazzetto sempre mite e umile, innamoratosi della bicicletta, ma come tenuto in ostaggio dal suo stesso talento; una porzione di racconto che riesce poi a scuotere il girato, nel momento in cui veniamo a conoscenza del dialogo tra Pantani e sua madre, nel momento in cui lui le rivela di voler smettere con le corse proprio quando è riuscito a farsi strada fino ai professionisti – come se Pantani stesso avesse avvertito che l’innocenza e la spensieratezza di pedalare fino in cima al mondo fosse di colpo svanita, lasciando spazio alla misera e grigia realtà della competizione sregolata.
Vacillando senz’aria tra un blando tentativo di progetto-inchiesta e biopic documentato di uno dei più grandi e amati atleti italiani di sempre, Pantani – per la “nostra” edizione il titolo è così tagliato -, scivola via con troppa superficialità, lasciando un vuoto ancor più grande nei cuori di chi ancora è convinto di aver assistito a una storia incompiuta, dietro la quale si allungano ombre molto più lunghe di ciò che è dato sapere. Come per questo documentario.
(Pantani – The accidental death of a cyclist); genere: documentario, biografico, drammatico, sportivo; regia: James Erskin; sceneggiatura: James Erskin; fotografia: Joel Devlin; montaggio: Arturo Calvete; musica: Lorne Balfe; produzione: New Black Films, Media Squared Films; distribuzione: Amazon Prime Video; origine: 2014; durata: 96’