PASOLINI PROSSIMO NOSTRO

Salò o le 120 giornate di Sodoma rappresenta il testamento intellettuale di uno tra più grandi poeti del Novecento, è un lascito prezioso, gelidamente lucido del presente e del futuro della nostra società: la degenerazione e l’anarchia del potere occulto e subdolo dei consumi opera sulle coscienze e sui corpi una manipolazione spietata e irreversibile; l’uomo moderno è un perfetto automa che sembra esser stato del tutto privato di quella qualità che lo rende unico e “libero”: la possibilità di scegliere. L’orizzonte consumistico si impone come unico modus vivendi adeguato e accettabile, mentre il suo sostrato filosofico, l’ideologia edonistica, annichilisce per l’inquietante senso di vuoto e di oscurità che porta con sé. Salò è una profetica riflessione sulla morte di un’intera civiltà che ha barattato la sua umanità con la sicurezza di un benessere economico, destinato presto a divenire l’unico movente in grado di infiammare la vita degli uomini imprigionandoli in un meccanicismo schiavista che li ha ridotti “a brutti e stupidi automi adoratori di feticci”; la speranza, ormai abolita dal vocabolario pasoliniano, non entra a far parte della dimensione semantica e poetica del film, forse soltanto il finale non montato che vede l’autore protagonista, insieme agli attori e alla troupe di un festoso boogie boogie, lasciava intravedere un barlume di luce nel buio di un Inferno strutturalmente dantesco.
Giuseppe Bertolucci compone un’opera che traspira profondo rispetto e ammirazione nei confronti del Poeta affidandosi unicamente a materiale d’archivio e di repertorio: non intende tessere le fila di un seppur esile racconto, ma concedendo al maestro una totale libertà espressiva, consegna alla sua anima le chiavi del film; infatti le interviste rilasciate da Pasolini sul set di Salò, la sua voce non sempre in sincrono con le immagini e l’immenso patrimonio fotografico di Deborah Beer, costituiscono il corpus di un’opera che attende soltanto di essere assemblata, per un’ulteriore testimonianza storica e culturale nonchè per un doveroso omaggio verso il geniale cineasta-scrittore.
Un imprevedibile, delicato corto d’animazione, in cui assistiamo alla sintesi poetica del pensiero dell’autore scheletrito nella sua forma più semplice ed infantile - una grafia da bambino conclude la storiella suggerendo che “esser vivi è uguale ad esser morti” - apre il documentario. L’incipit accoglie la voce over, su schermo nero, di Pasolini durante la lavorazione di Salò, le prime immagini incorniciano il regista nel primo piano di un volto segnato dalla storia e dalla consapevolezza, su cui affondano le rughe di un vecchio padre che si assume appieno le colpe di un passato che ha irrimediabilmente ferito le nuove generazioni. L’intervista realizzata da Gideon Bachmann è armoniosamente inframmezzata dalle preziose foto di scena della Beer che ripercorrono l’intero film rispettandone la cronologia; persino la musica a commento di Saviange e Surgère rimane fedele all’originale, restituendone lo spirito e l’antifrastica pacatezza.
L’ideazione e la composizione del progetto assumono il valore di documento e i codici linguistici utilizzati evidenziano ossequiosi intenti celebrativi, lasciando allo spettatore partecipe emozioni contrastanti: ammirazione, stupore, inquietudine e il sottile rimpianto per la perdita di un personaggio costantemente in trincea, svincolato dalle coeve ideologie, solitario e ribelle; una figura scomoda in un Italia corrosa da logiche di potere distruttive, mistificatrici e falsamente tolleranti.
(Pasolini prossimo nostro) Regia: Giuseppe Bertolucci; Fotografia: Deborah Beer; Montaggio: Federica Lang; Commento musicale: Saviange e Surgère; Distribuzione: Ripley’s film; Origine: Italia-Francia 2006; Durata: 63’
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