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Passo uno – dagli albori del cinema a Burton e Selick

Pubblicato il 30 giugno 2009 da Arianna Pagliara


Passo uno – dagli albori del cinema a Burton e Selick

Con stop motion, o passo uno, si intende quel procedimento laborioso che consiste nello scattare una serie di fotogrammi di un oggetto – come un modellino o un pupazzo, ma anche un disegno bidimensionale, e se si vuole perfino un attore – cambiando ogni volta la sua posizione nello spazio, per proiettare poi le immagini una di seguito all’altra, di solito alla velocità di 24 fotogrammi al secondo, dando così un’illusione di movimento. Associata di solito all’animazione, questa tecnica ha in realtà aiutato in molti casi anche il cinema nella creazione di effetti speciali, da quelli del famoso King Kong del 1933, realizzati da Willis O’Brien, a quelli di Terminator, Robocop e Il ritorno dello Jedi , prodotti negli anni ottanta. Ma la fama attuale del passo uno con pupazzi tridimensionali si deve di sicuro a Tim Burton che, all’inizio degli anni novanta, insieme ad Henry Selick ha dato vita al mondo meraviglioso di Nightmare before Christmas. E Tim Burton è, non a caso, un fan di Ray Harryhausen, che sull’onda di O’Brien è stato tra i primi a far interagire live action e passo uno nella Hollywood degli anni cinquanta, creando miniature di dinosauri, mostri marini e scheletri, animati appunto in stop motion.
Tuttavia, se si vuole procedere ancora a ritroso nella storia del cinema e dell’animazione ricercando gli albori di questa particolare tecnica, bisognerà quantomeno citare Stuart Blackton con The haunted Hotel (1907), dove gli oggetti, come stregati, sembrano animarsi e muoversi senza che nessuno li tocchi. Si intuisce facilmente però che il vero pioniere della magia al cinema è stato George Méliès, che proprio pensando “in fotogrammi fissi” ha realizzato quelle fantastiche apparizioni e sparizioni per cui oggi viene spesso ricordato: si filma una scena, quindi si sposta un oggetto o un attore fuori campo, e si filma ancora la stessa scena, senza mai muovere la macchina da presa. Ecco che rivedendo di seguito le due inquadrature si assiste a un vero e proprio gioco di prestigio cinematografico. Alla base di tutto vi è quindi un’intuizione, semplice ma al contempo geniale, che è il principio stesso dell’animazione tout-court.
Il passo uno insomma nasce insieme al cinema e oggi, a distanza di un secolo, non sembra invecchiato neanche un po’. Lo dimostra senz’altro un film come Coraline e la porta magica, ultima fatica di Selick, che ha coniugato la dimensione artigianale di questa tecnica antica con la tecnologia moderna del 3D, girando in stereoscopia con una doppia fotocamera digitale, regalando così alle immagini un’ulteriore profondità di campo. E se Coraline è stato proiettato in 3D - nelle sale attrezzate - proprio in questi giorni, non dimentichiamo che nel 2006 era già uscita negli Stati Uniti una riedizione in 3D di Nightmare before Christmas.
Chi ha temuto che le novità tecnologiche avrebbero messo in crisi o addirittura cancellato la stop motion ha dovuto infatti ricredersi: se il campo degli effetti speciali è stato assorbito dalla computer grafica, non è stato lo stesso per l’animazione. Anzi, al contrario: la lavorazione de La sposa cadavere (ancora Tim Burton, 2005), ad esempio, è stata grandemente agevolata e velocizzata dall’utilizzo di macchine fotografiche Canon digitali. Essendo piuttosto leggere, compatte e maneggevoli, queste hanno permesso – tra le altre cose - di avvicinarsi facilmente ai piccoli volti degli “interpreti” per realizzare perfetti primi piani, proprio come desiderava il regista.
Ciò che tuttavia colpisce nelle creazioni animate di Tim Burton quanto in Coraline è soprattutto l’immenso e meticoloso lavoro di costruzione dei pupazzi, oltre ovviamente alla pazienza e alla precisione necessaria per animarli circa ventiquattro volte per ogni secondo di girato. Pensiamo anche alla realizzazione curatissima delle fantasiose scenografie burtoniane, agli interni rifiniti in ogni particolare, dal mobilio agli oggetti e alla carta da parati; e ancora, i piccoli costumi che vestono i protagonisti di questi film sono il più delle volte confezionati con inverosimile precisione: per Coraline è stato creato un minuscolo maglione utilizzando addirittura degli aghi a mo’ di ferri. Ne La sposa cadavere invece le espressioni facciali dei personaggi sono frutto di un attento e millimetrico studio degli ingranaggi costruiti nella testa di ognuno di essi, che è grande più o meno come una pallina da ping-pong. Pensati come delle vere e proprie sculture mobili, questi pupazzi si reggono su uno scheletro snodabile di alluminio o acciaio, che viene rivestito con materiali come gomma spugnosa o silicone, a seconda dell’effetto che si desidera ottenere per l’incarnato, più rugoso in Nightmare, più liscio ne La sposa cadavere.
Gli animatori - che sistemano personaggi e oggetti nell’incantevole giardino di Coraline e nelle buffe e spettrali casette burtoniane - vanno a formare in ogni film un’equipe numerosissima insieme a tutti quelli che, con passione e diligenza, costruiscono, dipingono e vestono gli infiniti pupazzi che popolano i mondi, non dissimili, di Burton e Selick; un’equipe che lavora insomma in una dimensione profondamente artigianale, in cui l’abilità manuale è tutto e ad ogni significativo dettaglio viene dedicato il tempo che esso merita.


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