PAYCHECK

Di John Woo si sono esaltate fino allo sfinimento critico le doti di metteur en scene dell’azione coreografica più efflorescente e rococò, finendo per trascurare un’altra componente che affiora ciclicamente nella sua opera: l’amore incondizionato per la meccanica hitchcockiana della suspence, nonché per la sua suprema eleganza cartesiana, apparentemente l’esatto contrario delle volute incendiarie attizzate dalle sparatorie di Woo. Da ricordare in questa prospettiva almeno la trasferta francese di Once a Thief, che rendeva devotamente omaggio a Caccia al ladro (senza dimenticare ammicchi a Demy o Truffaut) e Mission: Impossible 2, il cui canovaccio era com’è noto modellato su quello di Notorius, ma in cui soprattutto le scene regolate sul metronomo della tensione (quella indimenticabile dell’ippodromo su tutte) surclassavano quelle incentrate sulla potenza di fuoco e sul rombo dei motori. Lo stesso avviene in Paycheck: dove i momenti più adrenalinici sono riservati per la parte finale, e comunque vengono mantenuti su toni insolitamente misurati rispetto agli standard di Woo (a parte l’inseguimento in moto, tema già trattato in Hard Target e M:I 2, e qui virante all’astrazione metafisica delle traiettorie lanciate in tunnel di container multicolori); mentre la gran parte degli sforzi di confezione (dalle bellissime musiche di John Powell alle scene moderniste di William Sandell) e regia sono rivolti a plasmare una versione futuribile di Intrigo internazionale, con Ben Affleck nella parte di “quasi innocente” sballottato dagli eventi in perfetto stile Cary Grant. Per capirsi, mentre in De Palma domina il gusto del pezzo di bravura da delibarsi a se stante, e insieme da incastrare nella sua teoria di rispecchiamenti infiniti, qui una scena come quella della donna specchio che fa da doppio a Uma Thurman (e che si chiama guarda caso Maya) innesta in tutta naturalezza il richiamo alle vertiginose bionde che vivono due volte, la visione paranoica di Dick e uno sguardo peculiarmente orientale sul mondo come perpetua illusione. Ormai Woo continua a giocare di variazioni sulle proprie ossessioni stilistiche (c’è il colpo di fulmine mediato dalla musica, sì, letteralmente dalla cassa armonica di un violino oltre cui Ben intravede Uma; c’è la colomba che spunta fuori al momento clou, trasportando sulle sue ali il lirismo e l’ironia in dosi salomoniche), ma quel che conta è che il suo periodare manierista sia sempre, orgogliosamente riscaldato da un umanesimo non piegato alle ragioni del commercio. Per questo non c’è che da continuare a sperare nel romantico poeta cinese del sangue e dell’onore.
[febbraio 2004]
Cast & credits:
Regia: John Woo; sceneggiatura: Dean Georgaris da un racconto di Philip K. Dick; fotografia: Jeffrey L. Kimball; montaggio: Kevin Stitt, Christopher Rouse; musica: John Powell; scenografia: William Sandell; costumi: Erica Edell Phillips; effetti visivi: Gregory L. McMurry; interpreti: Ben Affleck, Uma Thurman, Aaron Eckhart, Colm Feore, Paul Giamatti, Joe Morton, Michael C. Hall; produzione: Dreamworks, Paramount; origine: USA 2003; distribuzione: UIP.
