Pelham 123: ostaggi in metropolitana

Nel 1974 Walter Matthau e Robert Shaw furono i protagonisti di Il colpo della metropolitana. Il film, diretto da Joseph Sergent, era un thriller teso ed avvincente, ricco di suspence, di ritmo, mai banale. In pochi si ricordano di questo piccolo grande film di genere e così in pochi, quando vedranno Pelham 123: ostaggi in metropolitana, si renderanno conto che si tratta dell’ennesimo remake dell’industria cinematografica americana.
In ogni caso, fare un confronto tra le due pellicole sarebbe inutile. Non tanto perché ai punti Sergent batterebbe Scott con un risultato schiacciante, ma perché si tratta sostanzialmente di due film diversi. Mettendo da parte gli stili lontani anni luce dei due autori (Sergent asciutto e classico, Scott ultradinamico e ridondante), bisogna tenere in considerazione l’importanza dell’ambientazione contemporanea delle vicende. Ai giorni nostri un attacco terroristico in una metropolitana così come una richiesta alta di riscatto assumono un significato totalmente diverso. Allo stesso modo, la scelta di porre al centro della storia un uomo di colore che nel bel mezzo della normalità della sua vita si ritrova a fare l’eroe e a salvare una città non sembra per niente casuale. Questi sottotesti politico-sociali ovviamente non si possono rintracciare nel film del ’74 ed è soprattutto per questo motivo che riteniamo necessario tenere a distanza le due opere.
E’ opportuno, dunque, prendere in considerazione solo la versione firmata Tony Scott, senza effettuare nessun ulteriore confronto.
Pelham 123: ostaggi in metropolitana parte con un ritmo serrato. Il classico montaggio frenetico di Tony Scott ed il suo stile ipercinetico rendono la prima mezz’ora avvincente ed appassionante. La sfida tra Denzel Washington e John Travolta, costruita su un montaggio alternato che poi si trasforma in un campo controcampo a distanza, funziona alla perfezione. I due attori, anche se non al loro meglio, duettano senza incontrarsi per più di metà film, ma sembrano sempre fronteggiarsi faccia faccia, sembrano sempre guardarsi negli occhi, sfiorarsi. La loro è una lotta psicologica che non si pone limiti, ma Scott riesce a renderla sullo schermo come fosse uno scontro fisico, violento.
Il problema dell’opera risiede nell’incapacità di mantenere questa tensione, quest’equilibrio e questo ritmo per tutta la durata. Scott, probabilmente cosciente di avere in mano una sceneggiatura che vede gradualmente scemare l’intensità del racconto in un gioco di ruoli che non sa rinnovarsi con il succedersi degli avvenimenti, tenta di sopperire a questo calo premendo sull’acceleratore della sua estetica personale. Nella seconda parte del film assistiamo dunque ad una banalizzazione delle situazioni e dei personaggi (in particolare nel finale) e ad una parallela esplosione dello stile postmoderno da videogioco dell’autore, il quale non riesce più a dosare gli ingredienti. Tutto diventa caotico, tutto si trasforma in una grande giostra visiva che non dà più punti di riferimento e che alla lunga stanca lo sguardo.
E’ un vero peccato però. Specialmente per lo splendido cast messo insieme. Oltre a Travolta e Washington, anche James Gandolfini (incapace sindaco Bush-style) e John Turturro meritavano una sceneggiatura e dei personaggi migliori.
(The Taking of Pelham 123) Regia: Tony Scott; sceneggiatura: Brian Helgeland; fotografia: Tobias A. Schliessler; montaggio: Chris Lebenzon; musica: Harry Gregson-Williams; interpreti: Denzel Washington, John Travolta, James Gandolfini, John Turturro; produzione: Escape Artists, Scott Free Productions; distribuzione: Sony Pictures; origine: USA, Gran Bretagna; durata: 108’.
