Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo: Il ladro di fulmini

Chris Columbus sembra essere fermamente convinto che, quando si realizza un film destinato ai ragazzini, questi debbano essere deficienti o, nella migliore delle ipotesi ipersensibili.
È una strana considerazione, questa, che non pare adattarsi al regista che, in Mrs Doubtfire, non si era tirato indietro di fronte alle scelte più strettamente melodrammatiche ed aveva avuto il coraggio di un finale sfumato che non rinsaldava la coppia nel più classico degli happy-end, ma santificava il divorzio come scelta obbligata per due persone che non si amano più.
Sembra quasi, anzi, che quando il regista americano si rivolge ad un pubblico più infantile (e non è che Mrs Doubtfire rifiutasse il dialogo coi più piccoli!) ogni elemento del racconto debba essere visto sempre e solo con la lente deformante dell’happy-ending di lì a due passi. Ogni travaglio, ogni emozione negativa, ogni baluginio di sofferenza che possa turbare il beota sonno della ragione e il mastichio dei pop corn deve, quindi, passare nelle fitte maglie del racconto più movimentato e trasformarsi in mero accadimento momentaneo chiuso tra le spesse parentesi dell’affabulazione non compromessa dal pensiero.
Accadeva già nei due Harry Potter realizzati dal regista americano dove ogni tragedia glissava nel fantastico e si scioglieva nel nulla di fatto. E dire che i film sullo sfortunato maghetto poggiavano tutti sul punto di partenza narrativo dell’elaborazione di un lutto non elaborabile: la morte dei genitori.
Accade ora anche con Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo – Il ladro di fulmini (i titoli delle saghe, ormai, gareggiano con la Wertmuller in spirito di lunghezza) dove ogni emozione che non sia lo stupore infantile per gli effetti speciali viene spazzata via dal vento impetuoso del racconto. Un vento furioso che non ammette pause, né digressioni.
Accade così che a Percy venga uccisa la madre a neanche venti minuti dall’inizio ed ecco che la scena successiva già ci catapulta nel campo di addestramento dei giovani semidei dove al ragazzo viene spiegata tra ironie la sua origine divina e dove lo aspetta (dieci secondi netti) già l’incontro con la ragazza della sua vita osservata, c’è da scommetterci, con lo stupore dell’adolescente in piena tempesta ormonale. Non sappiamo voi, ma a noi se ci venisse schiacciata la mamma tra le possenti zampone di un minotauro, un paio di minuti di pianto per cotanta perdita ce li concederemmo. E magari ci sarebbe spazio anche per qualche complesso di colpa che venga ad attanagliarci la gola in una morsa fredda.
Qui no! La mamma muore e non c’è neanche una tomba a cui portare i fiori e neanche una lacrima che ne serbi il ricordo. Tanto, pare questa la considerazione di Columbus, poi si sa che non è morta per davvero e che si scenderà, novelli Orfeo, nell’oltretomba a recuperarne le spoglie mortali senza neanche l’impiccio di non doversi guardare indietro mentre si risale nel mondo dei vivi.
La considerazione strettamente legata al giovane protagonista si ribalta poi al senso intero dell’operazione. Il mondo degli inferi non si porta addosso nessuna tragedia, nessuna interrogazione sul senso della vita e sul mistero della morte. L’inferno è solo un Hogwarts più vasto e fiammeggiante, ma ugualmente gotico (e qui sorge spontanea la domanda: ma non si parlava di mitologia greca?). Le anime prave son spettri di fiamma senza identità, né ragione. Larve di un vivere massificato che le priva di ogni umanità. La nave di Caronte ci passa sopra con l’indifferenza che Virgilio consigliava a Dante quasi a dire che son elementi di disturbo al dipanarsi dell’intreccio e guai se eccedono rispetto alla loro funzione di mera scenografia!
Così i bambini si spaventano appena e l’incanto resta attivo, pulito, puro.
Ma in questa considerazione così povera della morte (una pecca del nostro mondo che esalta solo il piacere edonistico del sesso e rimuove ogni senso del trapasso, ogni emozione legata al lutto) vengono meno le premesse teoriche del progetto narrativo. Perché la mitologia greca nasce dallo stupore per il mondo, dallo sconcerto per i misteri del creato e dalla paura per la morte e dall’accettazione della sua inevitabilità. Raccontare una discesa agli inferi senza lacrime equivale a raccontare una scampagnata a Villa Borghese. C’è il racconto, ma ne manca il senso, la ragione.
Della mitologia greca son presi nomi e figure, ma se ne ignora la ragione e si dimentica che quelle stesse figure furono materia per versi immortali che a duemila anni di distanza ancora ci stupiscono e commuovono.
Columbus invece anestetizza la pur mossa materia narrativa e ripete lo stesso errore compiuto in Harry Potter: depaupera la storia in effetti speciali, si rivela incapace di trovare quel senso di ironia che pur respirava tra le pagine della fonte letteraria e chiude tutto in una confezione anonima. Errare è umano, ma perseverare...
Quel che gli riesce meglio è, invece, il cast. Complice forse la maggiore età dei suoi personaggi, questa volta Columbus azzecca qualche volto e Logan Lerman, nella parte dell’eroe eponimo, ha qualche finezza recitativa che a Daniel Radcliffe mancava e, ahinoi, manca tuttora!
Per il resto un film fumettone di piana bidimensionalità. A qualcuno, forse, potrà piacere questo McDonald sull’Olimpo, ma noi siamo un poco più stanchi di questo globalizzato sapore di plastica.
(Percy Jackson & the Olympians: The Lightning Thief); Regia: Chris Columbus; soggetto: Tratto dalla saga letteraria "Percy Jackson & The Olympians", scritta dallo statunitense Rick Riordan; sceneggiatura: Craig Titley; fotografia: Stephen Goldblatt; montaggio: Peter Honess; musica: Christophe Beck; interpreti: Logan Lerman, Pierce Brosnan, Rosario Dawson, Sean Bean, Catherine Keener, Kevin McKidd, Erica Cerra, Steve Coogan, Joe Pantoliano, Alexandra Daddario, Melina Kanakaredes, Brandon T. Jackson, Chelan Simmons, Jake Abel, Stefanie von Pfetten, Marie Avgeropoulos; produzione: 1492 Pictures, Fox 2000 Pictures, Imprint Entertainment; distribuzione: 20th Century Fox; origine: Canada, USA 2010; durata: 134’; webinfo: Sito ufficiale
