PESARO ’41

In El sol del membrillo (superbo film di Victor Erice visto nuovamente a Pesaro quest’anno) viene narrata, con stile piano e privo di ogni forma di retorica, la storia di un pittore impegnato nella composizione di un dipinto ad olio di un albero di melacotogne. Un racconto minimale all’apparenza, che cela dietro la superficie di un andamento lineare capace di prendersi le sue lunghe pause meditative, la volontà di un riflessione di un discorso sul significato etico di essere artista e sul rapporto che l’intellettuale intrattiene con la realtà che lo circonda (anche politica: basti ascoltare sia pur distrattamente i radiogiornali che accompagnano l’uomo nel suo lavoro). Come artista, il protagonista di questa pellicola si pone sempre in posizione ancillare rispetto alla realtà che va riproducendo: sceglie le ore del giorno in cui meglio possano risaltare i colori del suo amato alberello e segue la maturazione dei frutti e il loro progressivo appesantirsi e spostarsi nel corpo della composizione con dei tratti di pennello bianchi che sembrano andare a comporre un quadro a parte, dipinto direttamente sulla realtà e non sulla tela. Come ne Il vecchio e il mare di Hemingway (libro con cui questa splendida opera ha non pochi punti di contatto) la realtà segue, però, un percorso suo proprio del tutto avulso dal desiderio del pittore che tenta di immortalarla. Per cui il tempo inclemente che non regala abbastanza giornate di sole obbligano ben presto il protagonista ad abbandonare l’idea dell’olio per concentrarsi piuttosto su un piccolo disegno. Ma anche per questo è troppo tardi perché la frutta comincia a cadere quando la composizione non si è ancora chiaramente definita. L’artista fallisce, quindi, nell’attuazione del proprio progetto, ma l’uomo trova ancora la maturità per sollevare da terra il frutto caduto e per saggiarne l’odore, con un amore infinito ed un’accettazione pacata del corso delle cose che raramente avevamo avuto modo di esperire al cinema. El sol del membrillo non è, comunque, soltanto una delle esperienze più sconvolgenti e belle di questa edizione del Festival del Nuovo Cinema di Pesaro (la quarantunesima: un compleanno importante), ma è anche, in questa sede, la metafora ideale per comprendere il senso di una Mostra che resta uno dei punti di riferimenti imprescindibili della realtà contemporanea. L’atteggiamento del Festival nei confronti del mondo Cinema è, infatti, assolutamente paragonabile a quello del pittore di Erice nei confronti del melocotogno (e per esteso della realtà tout court). Con lo stesso amore reverenziale, con la stessa passione matura, ma ancora giovane e sperimentale, il Festival si pone nei confronti della produzione cinematografica mondiale cercando di coglierne i fermenti, di definirne e restituirne il significato e l’intrinseca importanza. Come per il pittore anche per la Mostra la realtà da rappresentare è prima di tutto fatta di luce per cui la scelta delle ore del giorno in cui effettuare il proprio lavoro artistico o critico diventa imprescindibile. Solo così si può capire il perché di una ricognizione sul cinema sud coreano che segue di non molti anni una precedente mostra dedicata allo stesso argomento. Con la differenza che mentre la mostra di qualche anno fa sceglieva, per la sua ricognizione, le trepide ore dell’alba, con la baluginante luce delle prime ore del giorno che trasformano ogni cosa in un fatto estetico (e di estetica del cinema sud coreano si parlò, infatti, in quella occasione), ora la Mostra ha preferito concentrare la propria attenzione sulle ore più calde del mezzogiorno e del primo meriggio, quelle in cui le cose si fanno più chiare e le ombre più nette. È la luce della politica, quella voluta dalla mostra, in uno spostamento dell’asse della riflessione sul cinema orientale dall’estetica pura e semplice alla sfera dei contenuti con la presentazione di opere di indubbio valore, rivitalizzate dall’uso intensivo di un digitale capace di cogliere la realtà nella sua immediatezza, senza il filtro di una fotografia troppo cinematografica. Tra corti ed esperimenti di vario genere emerge una realtà sud coreana assolutamente inaspettata, sicuramente inedita qui da noi che raggiunge momenti di decisa autocoscienza teorica come nell’interessante (anche se il linguaggio da videosaggio godardiano può apparire un po’ datato) Capitalist manifesto: Working Men of all the Countries, Accumulate! Di Kim Gok e Kim Sun. In alcuni casi la frutta troppa matura cade sotto l’occhio dello studioso come nel caso di Bad movie di Jang Sun-Woo già visto a Pesaro svariati anni fa (fu allora accolto con tepore e qualche sentito fischio) e ora inserito in una più accademica retrospettiva dedicata al regista (uno degli appuntamenti più impedibili di quest’anno) accedendo definitivamente alla posizione a suo modo intangibile di un classico. Altrove la luce del giorno può giocare strani scherzi come nel caso della rassegna del cinema Finlandese della Kinotar (forse per la prima volta, i selezionatori di Pesaro capitanati dal nostro Giovanni Spagnoletti, si sono rivolti al catalogo di una casa di produzione e non direttamente ai registi per comporre una sezione del Festival) che si è rivelata più interessante del previsto per la cura delle opere presentate su cui spiccano Saving the world di Maija Blafield scanzonato inseguimento di uno schizofrenico convinto di poter salvare il mondo con la sua verità e On edge di Maria Lappalainen su alcuni bambini responsabili di incredibili crimini. Per tacere della commossa partecipazione di Brothers di Esa Illi e dello sguardo impietoso di The idle ones di Susanna Helke e Virpi Suutari. Naturalmente la parte del leone della sezione finlandese della Mostra era tutta nella retrospettiva quasi completa delle opere di Mika Taanila su cui sarà doveroso ritornare stante l’indubbia caratura artistica di questo regista importantissimo. Per quel che riguarda la sezione competitiva, intitolata giustamente a Lino Miccichè, scomparso appena un anno fa, è da dire che la media generale è stata inaspettatamente modesta con poche sorprese di rilievo. Ma è questo l’unico appunto che si può muovere ad una delle più belle edizione di questi ultimi anni.
[luglio 2005]
