X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



PESARO 42 - GAEWA NEUKDAE SAIUI SIGAN - TIME BETWEEN DOG AND WOLF

Pubblicato il 17 luglio 2006 da Marco Di Cesare


PESARO 42 - GAEWA NEUKDAE SAIUI SIGAN - TIME BETWEEN DOG AND WOLF

San Francisco, Cordoba, Reggio Calabria, Atene, Smirne, Seul. Un viaggio intorno al mondo, che durerà pochi battiti di palpebre, seguendo una linea talmente sottile da esistere solamente nella nostra immaginazione: il 38° parallelo, frontiera invisibile che ha generato un confine pienamente visibile, sia geografico che totalmente mentale tra Nord e Sud, Ovest ed Est, tra capitalismo e l’ultimo esempio di economia pianificata. E che costituisce il lascito ultimo della dottrina Truman e dell’imperialismo stalinista, piaghe fondamentali del nostro Dopoguerra e ferite non ancora suturate: le due Coree, un’anima sola divisa tra due corpi.

Pusan. Luci e colori metallici, freddi e stranianti. Il regista indipendente Kim è in sala di montaggio, con accanto il suo assistente, per lavorare al suo ultimo film. Ha, però, dei problemi a far nascere la sua creatura, perché la produzione presenta varie incognite. Lui stesso è sull’orlo della bancarotta, e non sa fare altro che bere. Inaspettata giunge la telefonata di un lontano cugino: lo informa che presto i suoi genitori si incontreranno, dopo aver vissuto separatamente fin dalla fratricida Guerra di Corea. Kim si dirige controvoglia verso il paese natale, Sokcho, vicino al confine col Nord. Compirà parte del viaggio assieme a una donna che farà nascere in lui un forte bramosia. Un giorno si sveglierà, solo, dopo una notte - forse d’amore - trascorsa al pian terreno di un palazzo abbandonato e fatiscente. Giunto a destinazione, non riuscirà a rintracciare i suoi genitori. Proverà, però, il desiderio di vedere la casa dove è nato: ma non la troverà, forse perché è stata demolita già da tempo. La produzione del film, infine, gli scipperà la sua creatura: lui non potrà fare altro che piangere disperatamente e ubriacarsi.
Kim tornerà a Pusan. Giunto a casa, ascolterà dei messaggi lasciati nella segreteria telefonica: scoprirà che sua zia è morta e che lui è ormai in rosso. Tornerà al villaggio per la veglia funebre.
Il film si chiude con Kim che domina (domina?) una vallata innevata: al di sotto di lui un ragazzino ininterrottamente corre a formare un rettangolo nella neve, instancabile, andando sempre più in profondità, eppure dando l’idea di non muoversi.

Jeon Soo-il, regista di Time Between Dog and Wolf, è nato a Sokcho. Con la sua ultima opera ha realizzato il ritratto di un artista perdente, in crisi, perché in lotta contro un mondo e un’industria cinematografica incapaci di comprenderlo. Ma Kim è colpevole di uno dei peggiori peccati per un artista: l’incapacità di comprendere il Presente, degno figlio di un Passato collettivo tanto tragico.
Jeon ha dato vita a un atipico road-movie, attraverso il quale non ha inteso sintetizzare un percorso di formazione e crescita: tutto, invero, rimane cristallizzato, come ci mostra il paesaggio stesso, eternamente ricoperto di una coltre di neve. I villaggi toccati sono lande desolate, anch’esse ferme all’interno dello scorrere del tempo, dove una sparuta presenza umana, composta più che altro di anziani, vive in case umili che si affacciano su stretti vicoli, e dove i due protagonisti non possono che sentirsi ancora più soli con loro stessi.
Per rimanere nelle categorie del cinema occidentale, si potrebbe affermare che Jeon si riallaccia alla filmografia di Michelangelo Antonioni, il regista che ci ha comunicato uno dei mali della modernità: l’incomunicabilità. I due hanno in comune la trattazione della solitudine umana, della deriva dei sentimenti e della difficoltà ad avere legami duraturi con gli elementi di un mondo che ci sfugge di mano; tutto visto sempre attraverso uno spirito minimalista, assecondando un naturale ritmo segnato dalla lentezza e dall’attenzione verso le piccole cose, immerso in lunghi silenzi capaci di far riflettere sia i personaggi in scena che noi spettatori, circondati da un’atmosfera algida e da uno stile rigoroso. Antonioni ha riletto il cinema di genere, svuotandolo di ogni drammatizzazione e di ogni nozione di spettacolarità: in modo particolare, si pensi a road-movies come Il grido o Professione: reporter. Ognuno di questi aspetti può essere ritrovato in Time Between Dog and Wolf. Non si dovrebbe, però, dimenticare come lo stesso Antonioni si sia molto ispirato a certo cinema asiatico; da anni, però, una parte della filmografia orientale ha aperto un canale preferenziale col nostro autore, creando un legame tra cinema orientale e occidentale: perché l’arte è come un parallelo che corre intorno al mondo, collegando punti lontani, altrimenti non comunicanti.

(Gaewa neukdae saiui sigan) Regia e sceneggiatura: Jeon Soo-il; fotografia: Jung Sung-wook; montaggio: Lee Dong-wook; musica: Kae Soo-jung; interpreti: Ahn Kil-kang, Kim Sun-jai; produzione: Dongnyuk Film; origine: Corea del Sud 2005; durata: 110’.


Enregistrer au format PDF