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Pesaro 42 - Pere Portabella: appuntamento con un vampiro che non si è presentato

Pubblicato il 13 luglio 2006 da Iris Martin-Peralta


Pesaro 42 - Pere Portabella: appuntamento con un vampiro che non si è presentato

Pere Portabella (Figueres, 1929) è uno di quei cineasti marziani che si disinteressano al successo e rimangono sempre fedeli ai propri principi. Il suo percorso va dall’utilizzazione del cinema come uno strumento di lotta antifranchista, fino alla negazione del cinema stesso come parte di un processo industriale repressivo che lo deforma in una merce.
Portabella inizia a dirigere film alla fine degli anni ‘60, dopo un’atroce esperienza come produttore cinematografico nel contesto repressivo della dittatura franchista. Il nome di Buñuel segna l’inizio di questa storia: Viridiana (1961), prodotto dallo stesso Portabella, vince la Palma d’Oro a Cannes, ed è considerato sacrilego, inducendo Portabella: a) ad allontanarsi dal settore della produzione; b) a pensare che sono sempre gli stessi quelli che non capiscono niente.
Da quel momento, Portabella adotta la marginalità come principio. Ha visto come funziona il gioco, ha visto che non gli piace e decide di giocare con altre regole e altre pedine. La sfiducia per il processo cinematografico industriale è totale. Decide di autoescludersi, di esiliarsi, non rinunciando in alcun modo a guardare la realtà circostante. Sceglie un cinema underground fatto e pensato al di fuori del sistema, in uno spazio extraterritoriale. Nessuno dei suoi film (Nocturn 29, Umbracle, Pont de Varsavia...) segue il normale processo di produzione, distribuzione e diffusione. Per un motivo chiaro e semplice: perché a Portabella questo non interessa.
Vampir Cuadecuc (1970), il suo secondo lungometraggio, realizzato a costo zero, sfruttando la messa in scena di un altro film, nel totale disinteresse per i tagli della censura, riempie di senso la sua decisione di giocare al di là. Il film omaggia Vampyr di Dreyer e Un chien andalou di Buñuel, e prende forma attraverso battute poetiche (Cuadecuc significa “coda di verme”). La fotografia bruciata rinvia a Wiener e Murnau. La colonna sonora, realizzata da Carlos Santos e utilizzata nel film in totale dissonanza con le immagini, ricrea l’atmosfera sconcertante propria della fantascienza. Portabella si serve dei luoghi comuni del genere per mettere in dialettica la finzione con la finzione, elaborando i codici del terrore per una lettura critica del linguaggio cinematografico. Si tratta del making of di El Conde Drácula di Jesús Franco, il più prolifico dei cineasti spagnoli, conosciuto anche con tanti altri pseudonimi come Rosa Maria Almirall, Clifford Brown Jr., Chuck Evans o Jess Franck, regista di capolavori come Vampyros Lesbos o Killer Barbies.
La rielaborazione di codici è una costante della sua poetica realista: Portabella adotta i meccanismi espressivi concettuali delle tardoavanguardie; riprende una realtà vicina; la costruisce sopprimendo l’argomento; distrugge sistematicamente le menzogne su cui si fonda il mondo dello spettatore. È sempre guidato dalla volontà di realizzare un cinema non puro, anzi contaminato da esperienze artistiche e politiche diverse: la pubblicità in No compteu amb els dits, la pittura nei quattro cortometraggi su Miró, la musica in Acció Santos, i principi della lotta antifranchista in El sopar.
Adesso parlano di lui nelle scuole come esempio del cinema concettuale degli anni ‘70. I musei e i festival gli dedicano retrospettive. Altri registi scoprono i suoi lavori (Jonathan Demme obbligò tutto lo staff a vedere la filmografia completa di Portabella prima di iniziare a girare The silence of the lambs). Tuttavia per il regista catalano il cinema sembra aver perso interesse perche è soltanto “una vittima dei capricci dei produttori”, quindi, una vittima di un’altra forma di tirannia.
L’ultimo film è del 1989. Ma ecco il colpo di scena: diciassette anni dopo, mentre a Pesaro proiettavano i suoi film, Pere Portabella ritornava sul set.


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