Pesaro 43 - PNC - Anna M.

I riferimenti tanto scontati quanto necessari per avvinarsi ad un’opera come Anna M. sono da rintracciarsi sia in un film epocale come Adele H. di Truffatut (altro film ritratto di un’ossessione amorosa) sia ne Il caso di Anna O., un caso clinico immortalato in un importante saggio di Sigmund Freud.
La storia narrata nel film è quella di Anna, una giovane restauratrice di libri (quindi un personaggio strettamente legato ad una sorta di "operosa" passione per la cura e la preservazione del passato e poco abituata a vivere le contraddizioni del presente) che si innamora, credendosi ricambiata, del dottor Zanavsky, il medico che l’aveva operata dopo un brutto incidente automobilistico.
Il racconto procede seguendo alcune direttive che paiono abbondantemente risapute: inizia, un po’ alla Truffaut, con lunghi pedinamenti, ci mostra, poi, come la donna, dapprima timidamente poi via via più insistentemente, si insinua nella vita dell’uomo e unisce, sotto i nostri occhi, con precisione geometrica, i punti che formano una spirale ossessiva d’amour fou.
Anna non si tira indietro di fronte a nulla. Dal primo trepidante dono al suo amato (una copia antica del Cantico dei Cantici: già una resa incondizionata alla passione, considerando la sua professione) alle continue lettere, dalle telefonate insistenti a tutte le ore del giorno e, (soprattutto) della notte, alle non troppo velate minacce (spesso rivolte alla moglie del dottore) fino all’aggressione fisica vera e propria.
La macchina da presa aderisce all’ossessione della giovane protagonista in maniera totale. Anche se in alcuni momenti si concede il lusso di staccare dallo sguardo della giovane per andare ad investigare sulle nefande conseguenze delle azioni della donna sul microcosmo familiare del dottore sconvolto ed oscillante tra paura e frustrazione.
In questa adesione quasi assoluta dello sguardo si ritrova tutto il senso di un’operazione che ha il solo difetto di apparire troppo lunga, anche se quasi mai ripetitiva. Tutto si concentra sul desiderio di Anna ed ogni ostacolo che finisce per andare a frapporsi tra lei e l’oggetto amato diventa un mero accidente su cui lo sguardo dell’autore non deve soffermarsi più di troppo. In questo modo alcuni momenti topici del film di genere (soprattutto quando americano: alla Attrazione fatale, per intenderci) vengono ridotti al rango di semplici ellissi non degne di una concreta messa in immagine. Elementi superflui nel continuum del flusso del racconto.
Sicché non si vede nulla del processo in cui viene coinvolto il malcapitato dottore quando Anna lo aveva tallonato con la macchina di Albert (un povero addetto alla sicurezza delle ferrovia con cui la ragazza, gelosa della moglie del marito, aveva passato una notte di passione rimanendo incinta) facendo ricadere sull’uomo la colpa dell’intero accaduto. E anche la parentesi ospedaliera, quando la madre della ragazza riesce alla fine a far internare la figlia divenuta ormai davvero pericolosa per se stessa oltre che per gli altri, è solo un momento di passaggio e un impedimento momentaneo alla mai sopita ossessione amorosa.
Il regista, visibilmente intrigato dal suo caso clinico, compone un racconto forte, spesso angosciante, puntellato da cartelli neri con scritte esemplificative come Illumination o Espoir (sola nota stonata un "Tre mesi dopo" che annulla l’effetto poetico dell’artificio grafico) e gioca tutto il suo film sull’affollarsi di primi piani affogati in dissonanze musicali e suggestioni pittoriche che la caratura psicanalitica del racconto spinge forse anche un po’ involontariamente verso lidi espressionisti.
Si avvale, in questo, di ottimi interpreti (cosa non rara nel cinema francese), ma da un certo punto in poi abbandona colpevolmente il registro di un’identificazione a tutti i costi e comincia a spingere su un pedale quasi horror (tutto interiore, tutto passi sinistri e paure ancestrali come nella scena nel letto d’albergo) che dispiace non poco.
Da tutti questi elementi vien fuori un film interessante, ma forse mai davvero fondamentale.
(Anna M.); Regia e sceneggiatura: Michel Spinosa; fotografia: Alain Duplantier; montaggio: Chantal Hymans; interpreti: Isabelle Carrè, Gilbert Melki, Anne Consigny; produzione: Ex Nihilo, Rhonne-Alpes Cinema, Agat films & Cie; origine: Francia, 2006; durata: 106’
