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Pesaro 43 - Retrospettiva Zulueta - Las peliculas de mi padre

Pubblicato il 28 giugno 2007 da Alessandro Izzi


Pesaro 43 - Retrospettiva Zulueta - Las peliculas de mi padre

Preservare il passato, conservare memoria di ciò che è stato, non permettere all’oblio di cancellare ciò che dovrebbe restare, avviare un’operazione di "presentificazione" del ricordo: questo lo snodo poetico, il centro vitale di un film come Las peliculas de mi padre di Augusto Martinez Torres, produttore storico di alcune delle prime opere di Zulueta (presente nel film in un importante cameo) e regista a sua volta di alcuni importanti corti sperimentali e di un lungometraggio che fu, tra l’altro, presentato proprio a Pesaro nel ’68, l’anno fatidico della contestazione.
Il regista/produttore spagnolo, shockato dalle condizioni assai precarie in cui versa la cineteca spagnola (ma questa realtà tragica non tocca solo la terra di Almodovar, purtroppo) e dal fatto che i negativi di alcune sue opere sono andati irrimedialmente perduti, realizza in piena libertà ed autonomia un film che è prima di tutto una confessione personale ed un atto d’amore per il Cinema.
In possesso di mezzi economici che, nel periodo d’oro della sua attività di produttore non avrebbe neanche potuto sognare, Torres condensa tutte quelle sue personali ossessioni che avevano trovato spazio in corti divenuti col tempo invisibili, nello spazio di un lungometraggio affascinante ed inusuale. Un oggetto filmico paradossale che sembra venire direttamente dal passato, ma che è, al tempo stesso, anche figlio del presente.
Molti, dicevamo, sono i motivi ritornanti all’interno di questo progetto ambizioso. Tanto per cominciare, l’insistenza di una struttura circolare assolutamente chiusa secondo la quale il film deve cominciare e finire con le stesse identiche inquadrature, andando a costituire una sorta di struttura a specchio, in cui la seconda parte deve essere una copia riflessa della prima. Ovviamente, essendo presente una storia precisa, con un avanzamento narrativo innegabile ed un’evoluzione nel percorso esistenziale dei vari personaggi, la ripetizione non può essere esatta e pedessiqua. Quello che abbiamo di fronte è, quindi, piuttosto una forma ibrida che unisce alla musicalità della forma chiusa e ritornante il meccanismo narrativo che MacLuhan ha identificato nella formula archetipica di prologo-climax-epilogo.
All’interno di questa struttura riflessa si affollano altri giochi di rifrazioni speculari. Le inquadrature sono spesso piene di specchi che moltiplicano le prospettive e vanno a costruire una precisa opposizione tra Realtà e Finzione. Il paradosso è che, mentre quello che viene posto di fronte allo specchio rappresenta la "realtà della finzione" (gli attori che mettono in scena la loro parte), nello specchio vediamo invece (secondo un’idea già esemplarmente espressa nei corti di Torres) la "finzione della realtà" (lo specchio offre, infatti, un’immagine che, per definizione è non vera, ma nel riflesso si possono vedere oltre ai personaggi anche la troupe intenta a riprendere la scena stessa). Quasi che Méliès si rifletta nello specchio di Lumiere.
Il gioco di rifrazioni va oltre: spesso è lo stesso schermo cinematografico a divenire specchio nel quale i personaggi possono vedersi riflessi. In molte inquadrature vediamo schermi sui quali scorrono spezzoni di film (quasi tutti di Torres, ma c’è anche un inserto di Zulueta) di fronte ai quali prendono posto specularmente (alle volte replicandone alla lettera le azioni i personaggi di Las peliculas de mi padre. Cinema e realtà si riflettono, quindi, reciprocamente. Ma a riflettersi sono soprattutto il passato (quello dei film dimenticati) e il presente che quel passato deve riscoprire e, in certa misura, reinventare.
Ci sono, infine, anche i gemelli (ossessione costante di Torres) che, nel mondo reale, rappresentano, al naturale, il principio della riflessione e di duplicazione di un’identità (figure identiche con caratteri diametralmente opposti o figure diverse, ma sostanzialmente identiche).
La storia del film racconta la disperazione di un’immaginaria figlia dello stesso Torres che, appresa la morte del padre, ripercorre le orme del genitore per scoprire l’identità della madre e, nel far questo, viene a scoprire che i negativi di corti che potrebbero nascondere la soluzione del mistero sono andati perduti, si nutre di questi paradossi speculari in un film pur non enormemente parlato (invasivo l’uso della voice over come in molti film anni ’70), rivendica ad ogni passo il primato dell’immagine sulla parola.
Ne viene fuori un film decisamente inusuale, dal fascino ambiguo. Un’operazione che sembra incredibilmente molto di testa anche quando è innegabilmente dettata dal cuore. Un’opera oscura, onirica, non certo destinata al grande pubblico. Come tutte le più intime confessioni.


CAST & CREDITS

(Las peliculas de mi padre); Regia e sceneggiatura: Augusto Martinez Torres; fotografia: Carles Gusi; montaggio: Laura Perez Sola; musica: Sylla Aboubacar, Saonogo Youssouf, L. Soro; interpreti: Karme Malaga, Ariadna Cabrol, Carlo D’Ursi, Ivan Zulueta, Marta Fernandez-Muro, Jaimi Chavarri; produzione: Els Quatre Gats Audiovisuals; origine: Spagna, 2007; durata: 99’


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