Pesaro 44 - Der Freie Wille - Cinema Tedesco Contemporaneo

Theo è uno stupratore. L’istinto di malmenare e poi violentare le donne è parte costituente del suo essere, una conditio sine qua non della sua personalità. Prova un certo orrore per le sue azioni, ma gli vengono da dentro, dettate ed imposte da un istinto irrefrenabile che non ammette se e non ammette ma.
L’inizio del film è all’insegna di questa convulsa, affannata necessità: Theo vede una ragazza che va in bicicletta per una strada deserta vicino ad una spiaggia e si prepara. La rincorre la afferra, se la porta dietro ad un cespuglio, corpo inerte che oppone poca resistenza tra lacrime e suppliche, e la colpisce più volte in pieno volto mentre la lega con le bende con cui si fasciano i piccoli tagli: un gesto gentile nell’abominio.
Le chiude gli occhi con lo stesso nastro. Non sopporta più di tanto di vedere la propria immagine riflessa negli occhi di lei. Le sue lacrime lo smonterebbero prima del tempo. Il lato umano di Theo non se ne andato via in vacanza. E’ lì presente alla violenza. Solo che si è fatto testimone: guarda incapace a giudicare e, forse, un po’ gli piace pure quel sentimento di potenza che prova guardando un corpo inerme che è totalmente alla sua mercè, che ci può fare quello che vuole.
Poi, consumato l’atto turpe, la vittima gli scappa. Proprio mentre un gesto di carità lo stava quasi portando a medicarle le ferite, quasi a risarcirla della violenza appena subita.
Di qui in poi il carcere è nell’ellissi nascosta tra questo prologo e il film vero e proprio.
Theo è arrestato, giudicato infermo di mente, costretto a nove anni di cure psichiatriche durante i quali assume farmaci per l’inibizione del testosterone e gli viene insegnato ad aver quasi paura delle donne.
Esce dal carcere che sembra da fuori un uomo nuovo: i capelli bel tagliati, il fisico più asciutto per la molta palestra ed un che di remissivo nelle azioni e nel comportamento. Dentro, però, l’istinto allo stupro s’è solo assopito. Aspetta che finiscano le prescrizioni dei medici, aspetta la fine delle pillole per tornare alla carica con nuovi pugni e nuove violenze.
Theo ne parla con il compagno di camera durante la libertà vigilata. Come di una cosa che un po’ lo spaventa e un po’ lo alletta. Sa che se l’istinto bussa troppo insistemente alla sua coscienza l’unica cosa da fare sarebbe quella di ritornare di sua spontanea volontà in istituto, ma la proespettiva è brutta perchè se lo stupro lo ripugna un poco, l’ospedale psichiatrico, da parte sua, non è poi tanto meglio. Per cui tergiversa e nel frattempo comincia a vedere una ragazza, Nettie.
La vita della donna, manco a dirlo, non è poi tanto migliore di quella di Theo. Sin da piccola è stata costretta a subire tutta una serie di abusi mentali da parte del padre. Stuprata continuamente negli affetti e nella mente, la ragazza è non poco attratta da Theo. Riconosce nei suoi gesti repressi una violenza che le è familiare, che è quasi di casa. Come sempre succede anche Nettie finisce, come tutti, per innamorarsi di una traslazione di suo padre. L’amore segue le strade di ferro di binari che non ammettono deviazioni. Il libero arbitrio è un’illusione. Date le condizioni di partenza la fine non può essere che una: Theo e Nettie cominciano a frequentarsi, iniziano una storia scontrosa ed intessuta di piccole violenze, insieme avanzano verso un baratro nero.
Der Freie Wille non cerca mai lo scandalo per lo scandalo, ma, e qui sta il suo peccato capitale, neanche l’equilibrio. Le sequenze di violenza, gli stupri, le masturbazioni selvaggie e contratte davanti ai film porno in televisione, sono elementi connaturati al racconto, necessari alla resa psicologica dei personaggi. Quello che semmai colpisce in negativo è la propensione al tratto nero, il bisogno di rimestare nel sordido anche nelle sequenze di contorno, anche nei momenti che dovrebbero portare un alito di leggerezza nel racconto.
Der Freie Wille prende una parte della vita e te la spaccia per il tutto. Il suo è un ritratto espressionista dell’esistenza.
Non espressionismo cinematografico, intendiamoci, ma espressionismo dell’idea, del concetto: nell’individuo scopre gli aspetti malsani e li trasforma in tratti distintivi, in pennellate di tempera dai colori innaturali coi quali disegnare il mondo.
Il messaggio può passare, così, solo attraverso il gesto violento. Senza troppi compiacimenti, certo, senza nessuno spirito assolutorio, ma anche senza speranze e senza rimpianti.
E dell’espressionismo ha anche la vocazione ad una recitazione isterica, fatta di scatti repintini ed improvvise contrazzioni, di urla selvagge che nessuno ascolta e di sospiri di tormento.
Per un po’ funziona, ma poi quando la storia prende il largo verso lidi risaputi, quando lui lascia lei e scappa via o quando lei lo pedina memore dell’amour fou di Truffaut, il tutto perde la bussola ed il racconto sfiora vette di ridicolo assolutamente involontario.
Non provi simpatia per il destino di questi personaggi neri e bui (il che è voluto, è una scelta di campo) e, allora, non puoi fare a meno di chiederti perchè il protagonista ci debba mettere quasi tre ore per arrivare a quel suicidio che era, in fondo, l’unica fine possibile.
(Der Freie Wille); Regia: Matthias Glasner; sceneggiatura: Matthias Glasner, Judith Angerbauer, Jürgen Vogel; fotografia: Matthias Glasner; montaggio: Mona Bräuer, Julia Wiedwald; interpreti: Jürgen Vogel, Sabine Timoteo, André Ennike; produzione: Colonia Media Filmproduktion, Label 131, Schartsweiss Filmproduktion; vendite internazionali: Bavaria Film; origine: Germania, 2006; durata: 163’
