Pesaro 44 - La Perrera - Cine en Construcciòn

David è un ragazzo come tanti: venticinque anni, iscritto all’università, passa da un corso di laurea all’altro perchè non riesce a capire qual’è la sua vocazione più vera. Non riesce a dare esami, ma punta lo stesso alla Borsa di Studio perchè ha imparato sin da piccolo che le cose gliele devono regalare, sono sue per un diritto innato. Si fa mantenere dal padre, un uomo d’affari di successo che passa pochissimo tempo a casa e non può quindi pretendere (come invece fa) di essere un faro per l’edecazione del figlio, e non ha quel minimo scatto di orgoglio che dovrebbe portarlo fuori casa, in cerca di un lavoro e di una qualche forma di autonomia. Non ha passioni, David, non ha qualcosa per cui lottare. Ragion per cui si annoia ed è difficile combattere la noia in un villaggio costiero, come quello in cui vive, dove non ci sono svaghi, dove il giorno è uguale alla notte e dove l’unica soluzione è bighellonare in giro in attesa che qualcosa accada con gli amici al par di lui sfigati. L’unica soluzione sono gli spinelli (comprati sempre coi soldi del padre) i funghi allucinogeni (che neanche piacciono tanto) e le riviste pornografiche che annegano pochi minuti di nulla in un piacere solitario che lascia più inappagati di prima.
Inganna l’attesa di un qualcosa David e il suo problema è che non si rende neanche conto di stare aspettando. Il tempo gli cammina intorno e lui sta lì, fermo, convinto che anche il tempo debba stare al suo capriccio. Sente che qualcosa non va, ma non ha strumenti per puntare in una qualche direzione la sua bussula. Per questo non ha risposte alle domande che gli premono intorno e che, comunque, non sono sue, non gli vengono da dentro. Se il padre gli chiede perchè non ha dato nessun esame la risposta non può che essere che quegli esami li darà in futuro. Se l’amico gli chiede perchè non lavora, la risposta si chiude nel silenzio di chi si sente accusato di una colpa che certo c’è, ma che non è sua. Avesse potuto si sarebbe comportato diversamente, ma, semplicemente, lui non ha potuto.
Il padre, stanco del suo modo di fare, che è fastidioso anche per il pubblico in sala che pure prova simpatia per il personaggio, lo mette dapprima a lavorare nella casa, a scavare un pozzo nero che non si capisce se serva davvero a qualcosa o se non sia, piuttosto, per il ragazzo un altro modo per ingannare l’attesa in maniera più faticosa (ma, soprattutto, è metafora tanto ovvia quanto efficace di un invito a costruire una propria personalità e un proprio progetto). E almeno all’inizio David ci si mette al lavoro. In fondo non è un lavativo: se non lavora non è per scelta, ma per mancanza di scelta. Gli bastano, però, due giorni perchè l’azione tenda verso una perdita senso. Lavora, fino a far schizzare il sangue dalle mani che impugnano la vanga con cui spala la terra e intanto ha intorno amici che gli raccontano della plastica e dei cinesi che invaderanno il mondo. Poi i lavori rallentano e tornano le ubriacature, le masturbazioni, il fumo fino allo sfinimento. Frattanto i conti aperti dal padre nei negozi vanno in rosso e a lui semplicemente non viene neanche in mente che sarebbe il caso di trovarsi un lavoro pagato con cui comprarsi se non altro il pane.
Di fronte a questo ennesimo fallimento non resta, al padre, che cacciarlo di casa, obbligarlo a farsi carico almeno del fardello della sua stessa esistenza. Perchè anche questo manca a David: il senso di responsabilità per sè e per gli altri. La vita la dava per scontato e non c’era sforzo per tenersi le amicizie che vanno coltivate o avvizziscono nell’incuria.
Il problema di David è che è randagio come i cani che popolano la costa e che anzi sono più degli uomini che hanno costruito le città. Di qui il titolo del film (Perrera vuol dire appunto canile) perchè gli uomini senza qualità sono appunto come cani randagi: ti fanno simpatia, ma ti lavi sempre le mani dopo averci giocato.
La perrera non vuole in alcun modo essere una lezione di stile. Il linguaggio, semplice ed onesto, scevro da ogni forma di virtuosismo o carineria è solo il veicolo per un ritratto quanto più puntuale possibile di una realtà colta con la giusta dose di ironia e disincanto.
Nel ritrarre una gioventù priva di slanci o valori, incapace a definire la propria posizione nel mondo, inabile a farsi spazio in una società che non insegna più a combattere per il conseguimento di una meta, Manuel Nieto Zas evita ogni ammiccamento ed ogni allusione gratuita.
Racconta le cose così come si presentano davanti ai suoi occhi. L’ironia è nelle situazioni e nel racconto, non nelle intenzioni. Manuel Nieto Zas la scopre filmando, non preesistiva al progetto e al film.
Ed è proprio in questo che La perrera si discosta da tanti prodotti analoghi italiani che raccontano i giovani e il loro esser privi di valori. Il film guarda ai suoi personaggi senza preconcetti, ma anche senza quell’assoluzione preconfezionata che sta a monte di tutti i Notte prima degli esami o gli altri film sui trentenni in crisi.
In questo il film funziona bene, ma resta, comunque, a fine proiezione, l’impressione che alla pellicola manchi ancora qualcosa, che non abbia fino in fondo quella necessità di dire che è il peccato originale anche del suo protagonista principale.
(La perrera); Regia e sceneggiatura: Manuel Nieto Zas; fotografia: Guillermo Nieto; montaggio: Fernando Epstein; musica: Buenos Muchachos, Flormaleva; interpreti: Pablo Riera, Martín Adjemian, Sergio Gorfain, Sofía Dabarca, Adriana Barboza; produzione: Control Z Films, Rizoma Films, Xerxes Indie Films, Wanda Visión; vendite internazionali: Control Z Films; origine: Uruguay, Argentina, Spagna, Canada, 2007; durata: 108’
