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Pesaro 44 - Milchwald - Cinema Tedesco Contemporaneo

Pubblicato il 26 giugno 2008 da Alessandro Izzi


Pesaro 44 - Milchwald - Cinema Tedesco Contemporaneo

Lea e Constantin sono due bambini ripettivamente di nove e sette anni. La loro madre è morta da qualche tempo e il lutto, non ancora digerito, se lo portano ancora dentro, resta impresso nelle loro espressioni già un po’ troppo adulte. Il padre ha trovato in Sylvia, una donna di algida eleganza, una nuova compagna che ancora non ha avuto modo di inserisi davvero nel contesto familiare. I bambini la rifiutano in selenzio, boicottano l’idea che lei possa essere per loro una nuova madre, creano un muro ed una distanza. Un giorno, per un litigio, la donna abbandona i due bambini sul ciglio della strada, senza neanche il conforto delle bricioline di pane che possano indicar loro il percorso per tornare a casa. I piccoli, anzichè perdersi d’animo, tentano il ritorno, ma si perdono nel bosco sino alla casa di marzapena di un lavoratore polacco che li carica in macchina non sapendo bene cosa fare. Non è la strega della favola: dà loro da mangiare, gli dà un posto sicuro dove passare la notte e pensa che, magari, il giorno dopo li accompagnerà alla polizia. Poi arriva la notizia, dai telegiornali, che il padre offre una ricompensa di diecimila euro per chiunque sappia dare qualche informazione sulla sorte dei suoi figli. L’uomo si fa qualche conto in tasca e fa un colpo di telefono al genitore sempre più preoccupato. La buona azione, così, si trasforma gradualmente in una sorta di rapimento e tutto si fa ambiguo e grigio.

Attualizzazione della favola di Hansel e Gretel, Milchwald colpisce per più di un motivo.
In primo luogo è bello il modo in cui riprende il tono del racconto fiabesco piegandolo alle esigenze di un realismo mai fine a se stesso, sentito e necessario. Questo processo di ibridazione tra toni narrativi distanti, il regista lo ottiene separando nettamente il piano visivo del film da quello sonoro.
Da una parte costruisce, infatti, immagini che hanno una concretezza strana, fattuale, quotidiana, da racconto piano. Il realismo si inserisce in ogni possibile interstizio, traspare da ogni inquadratura come un motore primo di innegabile potenza. Lo vedi nei dettagli minuti, nelle immagini di una Polonia povera, nelle strade di campagna, nelle viuzze di città. Sta nei ricoveri per senzatetto ricavati nelle chiese, nei vicoli ciechi pieni di cartone con cui chi è solo e senza mezzi può ricavarsi un giaciglio per passarci una notte senza prender troppo freddo. Sta nei volti dei piccoli protagonisti, così veri e così intensi. Sta nel modo semplice di costruire la sua storia che ti chiede di digerire incongruenze strane (i bambini ricordano bene il numero di telefono di casa, ma sono incapaci di comporlo da un qualsiasi telefono pubblico), ma che è sempre immediato nella sua semplicità.
Dall’altra parte impone al suo narrato musiche strane (sono di Benedikt Schiefer, un compositore da tenere d’occhio)che quella piana naturalezza la sfondano in profondità. Sono brani arcani, inquieti: fasce di suoni distorti, clusters ambigui di toni che creano una forte impressione di instabilità, o momenti altamente percussivi che sembrano fuori tono rispetto alle immagini delle pregrinazioni stanche eppure ancora curiose dei piccoli. Così accostate alle immagini, le musiche ne deformano il senso. E quella matrigna così vera ti diventa, sotto la loro influenza, una megera da favola, quel bosco si fa luogo arcano, a modo suo fatato e spaventoso.
La colonna sonora del film, così, introduce il piano fiabesco nel narrato ordinario, scalda il racconto di un colore strano. Familiare eppure estraneo. Il primo colpo di genio della pellicola.

In secondo luogo colpisce molto lo sguardo del regista sull’infanzia. Era dai tempi del primo Wenders che non si trovavano al cinema (non solo tedesco) bambini così veri. I loro capricci, il loro modo di rapportarsi al mondo adulto, le loro decisioni sono intensamente vere. Li vedi bene a raccogliere gli spiccioli dentro una fontana per comprarsi un biglietto di treno per tornare a casa. Lo farebbero i protagonisti di una favola, ma anche i bambini veri. Il loro sguardo curioso riverbera il tema del viaggio di formazione (caro un po’ a tutto il cinema tedesco, non solo Wenders, quindi) e lo riempie di echi esistenziali.
Lo sguardo infantile permette inoltre che le cose del mondo possano assumere più credibilmente una loro aura fantastica, che siano gli oggetti credibili di una fiaba possibile. E qui sta un merito grande di un film davvero importante.


CAST & CREDITS

(Milchwald); Regia: Christoph Hochhäusler; sceneggiatura: Benjamin Heisenberg, Christoph Hochhäusler; fotografia: Ali Olay Gözkaya; montaggio: Gisela Zick; musica: Benedikt Schiefer; interpreti: Miroslaw Baka, Horst-Günter Marx, Judith Engel, Sophie Charlotte Conrad, Leo Bruckmann; produzione: Fiber Film, ZDF, Colonia Media, Cine Images, Schmidt Katze, Filmcotrac Ltd., HFF; vendite internazionali: Fiber Film; origine: Germania, 2003; durata: 94’


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