Pesaro 44 - Profit Motive and the Whispering Wind - Bande à part

Profit Motive and the Whispering Wind è una meditazione audiovisiva sulla Storia degli Stati Uniti d’America, una riflessione a suo modo politica su una nazione le cui mani (e la cui coscienza) sono anche troppo macchiate di sangue.
Le strategie della visione sono ricondotte, in questo breve, limpido pamphlet, entro i minimi termini di un’idea tanto semplice quanto efficace: ricomporre la storia nazionale non attraverso date o eventi, ma attraverso una mesta carrellata sulle tombe, sulle lapidi, sui monumenti funebri che si sono accumulati nel tempo che intercorre tra la Guerra di Secessione e i giorni nostri.
Carrellata, a pensarci bene, non è, però il termine più esatto. La macchina da presa è, infatti, nel voto di castità di una costruzione visiva votata ad un rigore esemplare, perennemente immobile, fissa. Non una panoramica, non uno zoom, non un moto interrompono o ingentiliscono una contemplazione che è al tempo stesso razionale e profondamente meditativa. Le immagini si susseguono secondo un ritmo che è dettato dallo stesso oggetto di visione: le inquadrature sono lunghe tanto quanto è il tempo necessario alla loro lettura ed alla loro interpretazione.
Le immagini delle tombe sono intervallate continuamente da inquadrature anch’esse ferme di alberi mossi dal vento, di fronde bagnate dalla pioggia, di un paesaggio mormorante e partecipe che respira e parla il linguaggio del tempo.
I Sepolcri, utopia umana di una memoria che si protrae oltre la vita del singolo, segni marmorei della sfida dell’uomo alle leggi del Tempo, sono così accostati a queste inquadrature che ci parlano di un’Eternità intangibile che va ben oltre le possibilità del nostro sguardo.
Le vestigia umane sono, così, un fermo immagine del momento: moniti di pietra che si sgretolano all’azione del tempo. Più duraturi, certo, della nostra vita, ma incapaci a sfidare davvero il lento scorrere dei millenni.
Da parte sua il mondo è preda d’un incessante, impalpabile movimento. E’ un mormorio appena che sfida il silenzio del nulla e, anzi, ne diventa parte integrante. Il paesaggio, in questo breve film, è sempre senza l’Uomo. Può farne a meno. Se anche adesso la razza umana si estinguesse per un qualsiasi motivo, quegli alberi continuerebbe a mormorare in ogni caso il soliloquio che la Natura ripete sempre a se stessa.
Noi siamo gli esseri transeunti, le figure sullo sfondo, le macchine che sfrecciano veloci al fianco dei momunenti ripresi in primo piano. Non abbiamo identità: siamo solo gambe, mani, schiene, figure senza volto.
Le nostre tombe parlano di un tempo che è passato. Raccontano con parole di pietra di stragi e guerre che non hanno intaccato il moto dei venti.
Eppure quelle guerre parlano ancora, dicono il loro orrore se appena abbiamo l’animo di volerlo ascoltare. Ed è per questo che, di tanto in tanto, il libero fluire delle riprese digitali dei monumenti che cerca di innalzarsi sul pedale orchestrale di questa Natura silenziosa, subiscono l’azione invasiva di brevi inserti animati, di brevi scene umane disegnate sul corpo del film coi tratti asciutti di un lapis nero. Figure di contrappunto che risvegliano nella nostra coscienza il senso del ricordo altrimenti muto inciso sulle lapidi.
Solo verso la fine, quando lo scorrere cronologico delle date sulle tombe, arriva a toccare i nostri giorni, solo allora il presente rivendica con coup de theatre un proprio spazio più polemico.
Al suono naturale delle riprese, appena intervallato, qui e lì da qualche brano musicale, si sotituisce il pesante rullio di percussioni violente, alle scene ferme di lapidi e alberi si sostituisce la folla dei vivi che chiede a gran voce di essere ascoltata. E sono scene di protesta quelle che il regista ci mette davanti. Scene di una lotta contro l’orrore di un mondo, come quello americano, che ancora cerca guerra, ancora vuole sangue. Si susseguono, così, davanti all’occhio dello spettatore, immagini di cortei di protesta contro la Guerra in Iraq, contro le offensive in Medio oreinte. Quel sangue di oggi è esattamente come quello di ieri. Solo che non ha ancora avuto il tempo di solidificarsi e farsi marmo. Non è ancora materia di canto per la pietra delle lapidi.
Questa improvvisa, ma naturale intermissione del presente suona forte e maestosa. Anzi, a pensarci bene, è preparata musicalmente dal tono mesto e cantinelante del passato. Il passato è monito e motivo del presente.
L’ultima inquadratura è riservata alla Natura. Un ultimo albero che sospira ricordandoci che anche il Presente è destinato a farsi passato.
John Gianvito regala al Festival uno dei suoi momenti più intensi e belli. La sua bellezza la si coglie, però, solo se si partecipa al discorso. Funziona solo se il film si guarda con l’atteggiamento di chi prega. Una preghiera laica, politica, ma pur sempre una preghiera.
Ha dalla sua un linguaggio che si imparenta strettamente con l’impressionismo musicale di Ives. Profit Motive and the Whispering Wind è una sorta di The answered question fatto di alberi e tombe anzichè di note suonate dall’orchestra. E si chiude anch’essa con un monito profondo sul nostro essere niente più che comparse nello spettacolo del mondo.
(Profit Motive and the Whispering Wind); Regia, fotografia e montaggio: John Gianvito; musica: Roberto Cassan, Paul Robeson, Infernal Noise Brigade, Ani DiFranco, Utah Phillips; produzione: Traveling Light Productions; origine: USA, 2007; durata: 58’
