Pesaro 45 - I corti di Tel Aviv - Cinema Israeliano

I tre cortometraggi presentati questa mattina all’interno della Rassegna sul Cinema Israeliano contemporaneo seguono perfettamente quelle che sono le linee di tendenza del Cinema della Terra di David e che tanto limpidamente erano state rintracciate da Raphael Nadjeri all’interno del suo monumentale A history of Israelian Cinema di cui abbiamo già avuto modo di dare conto su queste pagine.
All’interno di tre storie esemplari trovano, quindi, spazio, alcuni temi che erano del tutto estranei sia alla dimensione propagandistica del primo cinema sionista, sia alla svolta autoriale degli anni ’60 e ’70 che era ancora debitrice del modello delle varie Nouvelle Vagues europee.
Trattandosi di lavori sorti in seno al TAU (Tel Aviv University Film and Tv Department) si ha a che fare con lavori dimostratitivi che sono prima di tutto saggi di bravura, lavori che devono in primo luogo dimostrare la padronanza di un mezzo e della sua grammatica. Purtuttavia la dimensione accademica sembra spesso lasciar posto all’urgenza dei contenuti, al bisogno di aprire un terreno fertile al dibattito, allo scambio di idee, al bisogno di discussione e di riflessione. Non stupisce, quindi, che la dimensione del racconto scivoli facilmente nella direzione dell’apologo, di un racconto esemplare che sia prima di tutto dimostrazione della difficoltà di una presa di posizione nei confronti della materie più spinose e controverse.
Ad aprire le danze è stato il corto di Eytan Fox (After, datato 1990) che, ben prima dell’acclamato Yossy and Jagger affronta il tema dell’omosessualità all’interno della cultura ebraica. Il suo lavoro, costruito con una limpida successione di piani, concentra la sua attenzione sulle vite dei componenti di un battaglione militare che si appresta a partire per il Libano e che si gode una giornata di licenza a Gerusalemme. Tra questi c’è Yosef, un ragazzo che sembra essere un po’ estraneo al mondo dei suoi commilitoni e al loro bisogno di divertersi tra paste alla crema e abbordaggi di turiste americane. La sua difficoltà nel comunicare con gli altri è resa evidente dalla metafora del telefono, uno strumento di comunicazione che, però, non gli permette mai di raggiungere le persone che sta cercando (a casa gli risponde sempre e solo la segreteria telefonica con la voce della madre che lo invita a lasciare un messaggio e quando cerca di contattare la fidanzata di un amico gli risponde solo la di lei coinquilina). Ogni comunicazione è ritardata rimandata, mentre i tentativi da parte degli altri di entrare nel suo mondo urtano sempre contro un elastico muro di gomma che lascia fuori senza arrivare mai a scacciare.
La realtà è che Yosef è omosessuale, come il suo tenente e il dialogo, anche se alle soglie di una guerra nella quale potrebbe perdere la vita, resta ancorato alle soglie dell’inespresso, di un non detto che fa male. Una realtà che neanche il finale aperto ad un sorriso riesce a contraddire del tutto. L’universo della guerra e quello della realtà ebraica (maschilista come le tre principali religioni monoteistiche) diventano, così, l’incudine e il martello che schiacciano Yosef rendendogli impossibile ogni forma di autoaffermazione e di autodefinizione.
Va anche oltre il secondo corto Dark night di Leonid Prudovski che rilancia la dinamica del conflitto israelo-palestinese nel chiuso di una casa occupata da due soldati ebrei in fuga da un agguato secondo un modello che ritornerà anche in Private del nostro Saverio Costanzo. La convivenza forzata tra i due militari ed una famiglia araba con la donna sul punto di partorire e l’uomo medico, diventano strumento esemplare per un apologo fortissimo sull’assurdità della guerra. Le due opposte fazioni non riescono a parlare tra loro (ed ecco tornare il tema della difficoltà del dialogo che già avevamo rintracciato nel lavoro di Eytan Fox). Soprattutto quando a parlare sono le lingue istituzionali dell’arabo e dell’ebraico, ma basta appena che si lasci il presente e si guardi al passato che ecco che il russo (la lingua del soldato più giovane, emigrato che aveva appena cinque anni e della donna che si era trasferita in Palestina per seguire il marito) diventa la lingua attraverso cui un discorso si fa se non altro possibile. Leonid Prudovski ci dice così che tutta l’assurdità del conflitto che insaguina le strade di Gerusalemme sta in un errore di percezione. Finché non si è in grado di guardare la realtà attraverso gli occhi degli altri, finchè si ragiona per pregiudizi ogni forma di dialogo è impossibile. La stessa divisione tra due opposte fazioni è irreale in un mondo come quello israelo/palestinese in cui convivono etnie diversissime tra loro. Talmente diverse che finiscono costantemente in conflitti interni ("ebrei che litigano con altri ebrei" diceva una donna all’inizio di After a dimostrazione di quanto contigue siano queste opere pur tra loro molto diverse). Anche in questo caso l’apologo non si scioglie in una soluzione, resta aperto su uno sguardo sospeso. Il piano individuale dei personaggi che si riconoscono e capiscono non è ancora abbastanza forte da ribaltarsi nel piano collettivo.
Chiude la silloge di corti Zohar di Yasmine Novak che, tra i tre, è il più intimo, ma non per questo il meno forte. Al centro dell’attenzione, questa volta, c’è la realtà femminile. Zohar è una ragazza che ha visto la madre continuamente umiliata dagli uomini della sua vita e che per questo si è costruita intorno un muro impenetrabile a tutti gli altri (ben più grande di quello di Yosef e, forse, per questo, più facile da abbattere). La ragazza vive così rapporti conflittuali con la madre, con la sorellina più piccola e con il ragazzo che vorrebbe conoscerla meglio. La realtà femminile è sondata con discreta abilità dalla regista che compone uno spaccato femminile in miniatura che ha il solo difetto di sciogliersi in un finale aperto più dichiarativo di quello che chiude i corti dei colleghi. Ma l’opera brilla anche per la sua ricerca di un registro più poetico e meno incline al realismo.
Eytan Fox; AFTER; Israele 1990, 45’, 35mm, colore
Yasmine Novak; ZOHAR; Israele 2007, 30’, dvcam, colore
Lenoid Prudovsky; LAYLA AFEL/Dark Night; Israele 2005, 30’, 35mm, colore
