Pesaro 46 - Luchino Visconti - Evento Speciale

Vedendo il documentario di Lizzani, pare avverarsi con profonda tragicità l’intuizione di Pasolini secondo cui "la morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita". Tutta la serie di complesse contraddizioni che era stata la vita di Visconti, tutti gli umori e le idee che si erano susseguiti nel corso della sua carriera, in modo spesso capriccioso anche se, sotterraneamente, coerente, ci paiono, alla visione dell’opera, come pacificati in una sintesi suprema. E il dato che maggiormente emerge, alla fine, è quella profonda, assoluta forza di volontà che mai ha smesso di guidare il percorso artistico del regista lombardo dagli esordi di Ossessione, fino alla fine.
Ed ecco che Lizzani ci pare aver fatto proprio questo: ha scelto della vita di Visconti i momenti più significativi e ha cercato di donare loro un senso mediante il montaggio. In altre parole è stato la "Morte" di Visconti nel raccontare la sua vita; e nel far questo tocca, talvolta, corde di autentica commozione.
Il pericolo di ridurre la biografia in agiografia, pericolo sempre in agguato in operazioni di siffatto genere, è stata evitato da Carlo Lizzani soltanto in maniera parziale. Peccato per un autore, come il nostro, che ha saputo regalarci opere ben altrimenti problematiche.
In generale possiamo dire che l’operazione portata avanti sia consistita nell’accostamento di materiali tra loro molto eterogenei e che faticano a trovare una concreta sintesi stilistica. Da una parte abbiamo elementi biografici narrati da una serie di voci fuori campo, quindi una serie di interviste ai più fidati collaboratori di Visconti e, per ultimo, momenti in cui è Lizzani stesso, in prima persona, a farsi avanti narrando episodi del suo rapporto con il regista. Di questi tre momenti il più bello è sicuramente quest’ultimo, nel suo sapore di nostalgica rievocazione e nell’urto poetico tra il racconto verbale e l’immagine al presente dei luoghi e degli ambienti in cui lo stesso racconto ha avuto luogo.
Altrove non mancano momenti di incantata suggestione come nelle bellissima immagine in cui la Cardinale si aggira commossa e "danzante" nei saloni de Il Gattopardo tra le figure a grandezza reale di quel mitico ballo ormai bloccate nella gelida morsa della fotografia.
Fosse stato tutto così il documentario, quale grande opera sarebbe stata! Invece, anche per evitare la trappola di un troppo facile sentimentalismo, Lizzani ha preferito cavalcare l’onda del ricordo in maniera più oggettiva e distanziata. Da ciò, forse, il problema irrisolto di questo documentario: l’eccessiva costipazione di elementi, nello spazio ridotto di un’ora di proiezione.
Chiudere l’intera produzione artistica del regista milanese (tra teatro cinema e lirica) in uno spazio così ristretto non può non apparire, anche sulla carta, azzardato. E non solo per quel che riguarda la qualità delle varie opere che resta, sempre e comunque, discutibile, ma soprattutto per la mole davvero sproporzionata del corpus viscontiano. E mentre ci si interroga sul perché dell’esclusione dal discorso di un episodio così importante nell’evoluzione del suo pensiero come è stato Il lavoro, ecco che si è già arrivati a Morte a Venezia. A un passo dalla fine!
Si finisce, allora, per produrre un’opera che, nel tentativo di dar conto di tutte le tappe salienti della storia di una Vita, si risolve, spesso, soprattutto verso la conclusione, in un elenco di titoli ed immagini che scorrono via, irrimediabilmente, come granelli di sabbia al vento.
(Luchino Visconti); Regia: Carlo Lizzani; sceneggiatura: Luigi Filippo d’Amico e Carlo Lizzani; fotografia: Bruno Di Virgilio; montaggio: Danilo Perticara; interpreti: Claudia Cardinale, Massimo Girotti, Suso Cecchi d’Amico, Alain Delon, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Burt Lancaster, Franco Zeffirelli, Francesco Rosi, Silvana Mangano; produzione: Felix Film /Rai Fiction/NDR/ARTE; Italia 1999; distribuzione: RaiTrade.
