Pesaro 46 - Miyoko - PNC
Cinema e fumetti sono due forme d’arte che negli ultimi anni si sono molto contaminate. Nella maggior parte dei casi, il risultato di queste contaminazioni sono stati film eccellenti dal punto di vista commerciale, ma decisamente lontani dalla definizione di cinema d’autore (vedi tutto il filone dei superhero movies). In altri, autori più attenti al senso del racconto che ai risultati del box-office, hanno portato sul grande schermo opere molto meno famose forse, ma di certo più affascinanti e impegnate (ne sono esempi Persepolis o Reneissance).
Con questo particolare biopic sulla vita dell’artista manga Abe Shinichi, Tsubota Yoshifumi prova un diverso approccio al mondo del fumetto e si pone a osservare quest’arte da un punto di vista più intimo, mostrandoci la vita di un tormentato autore le cui vicende si confondono e mescolano con le sue tavole, si mischiano con la realtà e a volte la superano in intensità e dolore.
Abe è alla disperata ricerca di un editore per il suo manga. La musa ispiratrice per i suoi disegni è la compagna Miyoko, bellissima e sensuale, divisa tra l’amore per Abe e l’attrazione per il suo migliore amico.
Ma l’uomo è soprattutto alla ricerca di se stesso e di quella ispirazione che sente vicina ma che non riesce a cogliere del tutto. La scintilla che accende il suo animo viene dalle foto di Miyoko che lui stesso scatta e che poi utilizza come modelli per i disegni. Questa pratica viene portata avanti in maniera estrema finché la donna non diventa altro che un oggetto da dominare, uno strumento di piacere, visivo e sessuale che turba Abe nel profondo, lasciandolo però sempre insoddisfatto e per questo sempre pronto a spingersi oltre. La difficoltà e la partecipazione profonda che avverte, diventa man mano inevitabile, in quanto il fumetto che Abe sta disegnando si rivela essere in definitiva la sua stessa vita.
Dal punto di vista visivo, il film di Yoshifumi alterna spesso sequenze che riprendono i tratti realizzati a matita dall’artista alle immagini in pellicola, una vera e propria trasformazione dei disegni in film che ben rappresenta l’idea di confusione della realtà con la fantasia schizofrenica del protagonista. Il racconto di questo equilibrio sempre precario tra ciò che viene visto dal vivo, ciò che viene guardato in foto e ciò che viene riprodotto sul foglio è il punto di forza del film. A volte allucinato come il suo protagonista, a volte tenero e sensuale come la sua donna, questo racconto passa dall’essere film d’animazione a dramma romantico, da introspezione psicoanalitica a storia d’amore e di vendetta, mantenendo sempre al centro l’oggetto del desiderio, Miyoko. Un desiderio ottico, fisico, emotivo, interiore, il vero fulcro attorno al quale ruota il lavoro di Yoshifumi.
La sensualità di Machida Marie è ipnotica e il suo corpo sempre in primo piano, sempre seminudo se non completamente nudo, affascina con la sua delicatezza e il suo innato erotismo. La bravura di Mizuhashi Kenji consente allo spettatore di viaggiare nella mente di Abe, col passare del tempo sempre più disturbata, una rappresentazione della malattia mentale credibile e nel finale molto toccante.
Miyoko è un’opera emozionante che propone al pubblico un nuovo, ottimo regista.
(Miyoko Asagaya kibun); Regia: Tsubota Yoshifumi; Sceneggiatura: Tsubota Yoshifumi e Fukuda Shinsaku; Fotografia: Yamazaki Daisuke; Montaggio: Tsubota Yoshifumi; Musica: Maher Shalal Hash Baz, Sparta Locals, Tenniscoats; Interpreti: Mizuhashi Kenji (Abe), Machida Marie (Miyoko); Produzione: Wides Shuppan Co., Ltd.; Origine: Giappone 2009; Durata: 86’.