Peter Pan

Ennesima rivisitazione del mito di Peter Pan, il film di P. J. Hogan è, però, il primo a volersi come vera e propria rilettura filologica delle pagine e della piece teatrale di James M. Barrie. L’operazione di traduzione in immagini della pagina letteraria sembra, quindi, paradossalmente guidata dall’ossessione di un costante “ritorno” alla parola e alla situazione romanzesca o teatrale che libera l’intreccio (ormai risaputo) dalle incrostazioni cinematografiche che, nel tempo, si sono sovrapposte al mito del bambino che non vuole crescere mai.
Anzi, a vedere le colorate immagini del film in questione, si ha quasi l’impressione che Hogan cerchi di prendere il più possibile le distanze sia dagli adattamenti più o meno fedeli (a partire dal mitico cartone animato della Disney che aveva, però, annacquato le ansie del personaggio nella melassa del consueto zuccherino per bambini) sia dalle riletture mitiche dei temi e degli archetipi barriani in favole ricontestualizzate o aggiornati ai nuovi gusti e alle nuove tecnologie (si pensi agli esiti piuttosto mediocri dell’Hook di Steven Spielberg).
Insomma, come per il caso di Il Signore degli anelli di Peter Jackson, il punto di partenza è stato una sorta di ritorno al romanzesco, il bisogno di appoggiarsi alla tradizione forte di un romanzo (l’epica tolkieniana) o di un’opera teatrale (quella da cui prende maggiormente ispirazione Hogan per la sua pellicola, senza dimenticare, però, le opere romanzesche dello stesso Barrie) per permettere alla propria fantasia visuale di avere le spalle coperte dai tratti di un racconto pienamente caratterizzato e ampiamente conosciuto.
E, come per Il Signore degli anelli, anche per questo nuovo Peter Pan la molla che ha fatto scattare la creatività del regista è stata la possibilità di usufruire di nuove ed economiche tecnologie capaci di fondere in maniera convincente la recitazione tradizionale degli attori con l’animazione di complesse scene fantastiche che si rifacessero anche agli illustratori storici dei testi di partenza (Rackham per Barrie, Lee e Grant per Tolkien).
Ma i motivi di somiglianza tra Jackson e Hogan finiscono tutti qui perché mentre il primo affonda nell’archetipo fantasy per arrivare al nocciolo metareferenziale del senso stesso del raccontare favole, il secondo si perde, invece, nelle simbologie psicologiche che la stessa favola di Peter Pan favorisce.
Di qui il bisogno di ritrovare un preciso punto di vista sul mito: è, la favola di Peter Pan la storia della fantasia e della voglia di restare ancorati al mondo infantile del personaggio eponimo? O non è, piuttosto, la storia di Wendy che scende, comunque, a compromessi con il suo bisogno di diventare donna e poi madre?
Hogan, riallacciandosi agli scritti di Barrie, sceglie di percorrere entrambe le strade inseguendo il fantasma di un racconto speculare in cui le ansie di Wendy (che vede in Capitan Uncino un riflesso del suo rapporto con il padre) si riverberano nella storia di Peter (riflesso autobiografico dello scrittore e drammaturgo scozzese) in maniera significativa.
E, per far questo, contamina il racconto (troppo lungo) con digressioni funzionali alla restituzione di un mondo a cavallo tra infanzia e mondo adulto in cui a contare non è l’infanzia disneyana, né la maturità privilegiata nel vecchio adattamento televisivo inglese, ma quella linea d’ombra che si stende tra l’una e l’altra. Di qui un’insistenza delicata e funzionale su una dimensione erotica in genere rimossa da chiunque si sia accostato alla fiaba e che costituisce l’aspetto più originale della pellicola. Peccato che tutto questo si risolva, però, in un film più accademico e manierista che intimamente sentito. Una pellicola di cui si ricorderà più il Peter del bravissimo Jeremy Sumpter che non l’ambizione autoriale che ha mosso il tutto.
(Peter Pan); regia: P.J. Hogan; sceneggiatura: P.J. Hogan, Michael Goldenberg; fotografia: Donald M. McAlpine; montaggio: Michaale Kahn, Garth Craven, Paul Rubell; musica: James Newton Howard; interpreti: Jeremy Sumpter, Jason Isaacs, Ludivine Sagnier, Rachel Hurd-Wood, Olivia Williams, Lynn Redgrave; produzione: Lucy Fisher, Douglas Wick, Patrick McCormick; distribuzione: Columbia Tristar
[aprile 2004]
