Piccolo grande eroe

Sgomberiamo subito il campo dalle premesse che forse non riguardano il film, ma che in questo caso servono a completarne il profilo: il regista (insieme a Colin Brady e Dan St. Pierre) è Christopher Reeve, il Superman che per un grave incidente ha passato quasi dieci anni della sua vita attaccato a un respiratore artificiale.
Gli anni del suo immobilismo fisico sono stati quelli più attivi a livello sociale, a voler ribadire, come spesso accade in questi casi, che non è mai finita e che di insistere vale sempre la pena. Cambiando l’ordine degli addendi è un po’ la storia di tutti, un po’ la storia dell’Uomo stessa, quella della ricerca di una rivalsa giorno per giorno, quella della lotta tra desiderio e legge, insomma la storia che soprattutto al cinema vale sempre.
Piccolo Grande Eroe in questo non si smentisce, e procede, anche letteralmente, sui dritti binari della storia di una crescita, dove un bambino di dieci anni, da New York a Chicago, attraversa l’America della Grande Depressione accompagnato soltanto da una mazza da baseball e una palla, tanto logorroiche che finalmente ci si spiega perché si usano come si usano. Spinto dalla concretissima necessità di riportare –pena il licenziamento del papà-quella che in realtà è una preziosissima mazza da baseball al legittimo proprietario, niente meno che il leggendario Babe Ruth, il piccolo Yankee (così si chiama) durante il suo viaggio farà incontri, scoprirà il coraggio, lotterà, fino a scoprire che con la sola buona volontà si ottiene tutto ciò che davvero si desidera.
Il lieto fine si consuma in un campo da baseball ovviamente affollatissimo, dove anche non capendo quasi nulla di questo sport, si capisce che il piccolo Yankee appena incoronato battitore da Babe Ruth esegue una battuta per la squadra dei New York Yankees fondamentale all’esito della partita (che non vi sveliamo per non rovinare la suspense), perché guarda caso ha un grande talento, e perché chi conta non è la mazza ma il battitore.
Per tutto il film è un continuo sciorinare il medesimo concetto, forse per questo intervallato da piccole volgarità e siparietti a volte anche riusciti, ma che da soli non bastano a risollevare il tono di un film che indipendentemente dalle intenzioni risulta essere un semplice cartoon per famiglie, in grado di sorprendere solo chi ha pochi anni e non ne ha visti molti altri.
L’aspetto grafico (animazione 3d) è più che dignitoso, anche perché oramai si è giunti ad un punto in cui anche il livello più basilare di resa grafica sa essere una gioia per gli occhi: la competizione nel 3d ormai non è più su questo piano, ma come sempre su quello delle idee che sono la vera linfa e il vero nodo del cinema. Se ci sono, la tecnologia può solo metterle in evidenza e viceversa.
Regia: Christopher Reeve, Colin Brady, Dan St. Pierre; soggetto e sceneggiatura: Howard Jonas, Robert Kurtz, Jeff Hand; fotografia: Jan Carlee; montaggio: John Bryant; produzione: Dan Krech Productions, IDT Entertainment ; distribuzione: Medusa; origine:Canada/USA, 2006; durata: 87’; web info:
